
(Foto di Cesni)
TREVIGLIO. Tra una settimana l’avvio della messa in sicurezza dei terreni. Vent’anni fa le prime analisi. Fine prevista nella primavera-estate 2026.
Treviglio
Tra una settimana esatta, martedì 9 settembre, inizierà l’attività di bonifica dell’ex cava della Vailata, un’area di ottantamila metri quadrati tra Treviglio e i tracciati della Tav e della Brebemi e che in passato aveva seriamente rischiato di diventare una discarica di cemento amianto alle porte della città della Bassa. Ora invece nel futuro dell’ex cava c’è un parco pubblico la cui progettazione è stata affidata a Laura Gatti, agronoma paesaggista che ha progettato e curato il verde del noto «Bosco verticale» di Milano.
Prima però è necessario passare per la bonifica – già autorizzata dall’Arpa – visto che nel suo passato l’ex cava – di proprietà del Comune dopo un lungo iter che aveva portato all’acquisto dalla società Team e allo scongiurare l’ipotesi della discarica – aveva ospitato attività che ne avevano compromesso l’asset ambientale. Bonifica che sarà effettuata non a spese del Comune – sono previsti 180mila euro – bensì della società Holcim Spa che, come stabilito da una sentenza del Consiglio di Stato, dovrà farsi carico degli oneri dell’intervento che portino a una «messa in sicurezza permanente». La stessa Holcim ha per questo incaricato lo studio di geologia «GeoLogica» di Bollate, nel Milanese, di predisporre – come stabilito nella conferenza dei servizi del febbraio dello scorso anno – una relazione tecnica con i dettagli delle analisi del suolo e dell’interrato dell’ex cava di via Palazzo, l’iter per la bonifica e i suoi costi.
Dal canto suo, il Comune di Treviglio aveva chiesto, già nel dicembre del 2023, di adeguare il progetto di bonifica a «una migliore e più celere esecuzione dell’intervento», effettuando una «bonifica mirata» nelle zone della Vailata dove sono presenti sostanze inquinanti, e limitare gli interventi alla bonifica stessa e non «alle successive fasi propedeutiche per la realizzazione del parco urbano». Quanto ai tempi di esecuzione, la relazione tecnica firmata dall’agronomo Luca Pizzi parla chiaro: «Tenuto conto che, oltre alla messa in sicurezza di alcuni settori è in previsione il colmamento dell’intero fondo dell’ex cava, è possibile stimare una tempistica pari a circa 6-8 mesi». Tempi che potranno variare, però, in base «alla capacità dell’impresa esecutrice delle attività di reperire terreno certificato» da inserire nell’ex cava. «Rimangono ovviamente esclusi i tempi necessari per la certificazione dell’intervento di bonifica che, in via puramente indicativa e non esaustiva, possono essere quantificati in ulteriori 3-4 mesi».
Dunque, tra un minimo di 9 mesi e un massimo di un anno, la bonifica dovrebbe essere conclusa: verosimilmente i tempi si possono dunque indicare tra la primavera e la fine dell’estate del prossimo anno, come peraltro era già stato definito lo scorso febbraio, quando la Giunta trevigliese aveva approvato appunto il progetto di «messa in sicurezza permanente» dell’area.
Entrando nei dettagli delle 142 pagine della relazione tecnica per la bonifica, l’ex cava è stata idealmente e concretamente suddivisa in diversi settori a seconda della tipologia di analisi, mentre quattro macroaree consentiranno di far ottenere delle certificazioni separate. Va comunque evidenziato che sono vent’anni che la cava è oggetto anche di campionamenti e analisi del sottosuolo: complessivamente sono stati realizzati qualcosa come 79 trincee e 17 carotaggi, a partire dal 2005 con 6 trincee e proseguendo nel 2006 con ulteriori 8 trincee, nel 2009 con 9 carotaggi, nel 2013 con 23 trincee e 8 carotaggi e nel 2015 con 42 trincee. Tre gli ambiti di analisi: il suolo, il sottosuolo profondo e la falda, oltre che – dal 2013 – dei terreni di riporto. La nuova relazione ha riorganizzato tutte le precedenti analisi «eseguite in più riprese, da diverse società e con il coordinamento di differenti progettisti, al fine di omogeneizzare tutti i dati disponibili» emersi nelle varie campagne di analisi.
Di fatto, in questi anni sono emersi i differenti inquinanti dell’area. Nello specifico, sul suolo: rame, zinco e benzeni. Nel suolo profondo: rame, zinco, benzeni, arsenico, mercurio, nichel, piombo e idrocarburi leggeri. Nella falda: arsenico, fluoruri, triclorometano, tetracloroetilene, ferro e manganese. Fondamentale il paragrafo dedicato alle «analisi di rischio», nel quale viene evidenziato che, per quanto riguarda l’ambiente. «grazie a misure dirette effettuate sulla risorsa idrica sotterranea, è stata escluso qualsivoglia potenziale fenomeno di contaminazione in atto. Per tale motivo è possibile asserire che, sia allo stato attuale che nello scenario futuro, non vi è alcun tipo di rischio per l’ambiente. Con riferimento ai potenziali rischi per l’uomo, nelle condizioni attuali, tenuto conto che l’area si presenta abbandonata, non vi sono rischi. Secondo quanto sopra definito risulta evidente come, allo stato attuale, non siano previsti interventi né a carico della matrice suolo né tanto meno sulla matrice acqua di falda».
Discorso che cambia inevitabilmente, però, se l’area è in procinto di essere trasformata in un parco pubblico: «Secondo tale tipologia di fruizione, sulla base dei risultati dell’analisi di rischio, è possibile identificare la presenza di un rischio, derivante dal suolo superficiale, associabile al parametro benzo(a)pirene in un punto dell’ex cava. Per quanto attiene il suolo profondo, invece, vi è un superamento a carico del parametro mercurio in due punti».
Inevitabile, dunque, la bonifica: ma come avverrà? «Sarà attuata mediante misure di messa in sicurezza permanente dei terreni che garantiranno l’assenza di potenziali rischi per i futuri fruitori del sito, mentre non sono previsti interventi a carico della falda idrica sotterranea che, sulla base delle evidenze di campo, risulta non contaminata e, pertanto, sarà unicamente oggetto di un monitoraggio ante-operam, in corso d’opera e post-operam». In seguito alla bonifica, anche per «verificare che lo strato di terreno certificato disposto al di sopra del telo in tnt (che sarà collocato a circa un metro e mezzo di profondità e sul quale verrà posizionato il terreno trasferito da fuori, ndr) mantenga lo spessore minimo necessario per garantire il taglio dei percorsi di contatto dermico e ingestione del suolo», verranno eseguite 13 campagne di monitoraggio che «riguarderanno anche la risorsa idrica sotterranea, per valutare il corretto mantenimento delle condizioni attuali».
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