«La rapina per ridare 350 euro agli usurai: non sono un assassino»

ENTRATICO . In aula la difesa di Matteo Gherardi, alla sbarra per l’omicidio di Angelo Bonomelli col padre, l’ex compagna e l’amico. «Idea disperata: Rivotril nel caffè per intontirlo e derubarlo».

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Ascolta qualche domanda nascondendo la faccia tra gli avambracci appoggiati sul banco, nella classica posa di chi si sente prostrato. Singhiozza a tratti, provato dalle emozioni che gli fanno rivivere le situazioni evocate dalle sue parole. Risponde piccato all’avvocato di parte civile Raffaella Sonzogni che cerca di incalzarlo. Due ore così, provando – a volte un po’ platealmente – a scacciare l’ombra dell’omicida che si è posata addosso a lui e ai suoi tre presunti complici da quell’8.11.22, quando Angelo Bonomelli, 80 anni, di Trescore, noto imprenditore del settore onoranze funebri, fu trovato morto nella sua Mercedes in un parcheggio della zona industriale di Entratico. Matteo Gherardi, 34 anni, di Gaverina, viso, mani e braccia arabescati da tatuaggi, dice che, in fondo, è stata «un’idea disperata» quella di somministrare furtivamente sedativo all’anziano per intontirlo e rapinarlo (spariti cellulare, portafogli con 120 euro e l’orologio Longines da 8.000 euro che era poi stato rivenduto a un Compro-oro di Bergamo per 1.300 euro).

La ricostruzione delle parti

Bonomelli, cardiopatico, non sopravvisse e ora Gherardi, insieme al padre Rodolfo, 69 anni, all’allora compagna Jasmine Gervasoni, 25, di Sedrina, e all’amico Omar Poretti, 26, di Scanzorosciate, è a processo per rispondere di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e rapina. Sono tutti in carcere dal 10 novembre 2022. «Sono ludopatico e avevo un debito di 350 euro con uno strozzino: dovevo restituirlo entro le 19 della stessa sera. Uno che mi aveva promesso 400 euro all’ultimo si è tirato indietro e sono andato nel panico», spiega Gherardi jr. «Non sapevo cosa fare, non mi è mai capitata una cosa del genere in vita mia. Non sono un assassino. Mi ritengo colpevole di rapina, ma non di omicidio, non avrei mai ucciso il signor Bonomelli».

L’accusa: aver sciolto una dose eccessiva di Rivotril nel caffè d’orzo che nel pomeriggio del 7.11.22 la vittima aveva ordinato al bar «Sintony» di Entratico, dove stava discutendo del rilancio del suo centro termale Villa Ortensie a Sant’Omobono con il 34enne, che sfangava la vita riparando telefonini e commerciando sui siti apparecchi tecnologici di seconda mano e che a Bonomelli s’era proposto come uno «smanettone» del web in grado di fare pubblicità sui social al progetto tanto caro all’80enne.

Le difese puntano alla derubricazione del reato in morte come conseguenza di altro reato. Dirimente potrebbe essere il calcolo della quantità di Rivotril somministrata e per questo la Corte d’assise ieri ha deciso di sentire nella prossima udienza del 15 aprile l’anatomopatologo Matteo Marchesi, che aveva eseguito l’autopsia, e Alessandro Ravelli, specialista di Biochimica clinica, autore dell’esame tossicologico. Ieri Jasmine Gervasoni e Rodolfo Gherardi hanno depositato dichiarazioni spontanee in cui, pur essendo anche loro presenti al bar, si dicono all’oscuro del piano e sostengono di aver intuito le intenzioni del 34enne solo alla fine. Di fronte all’improvvisa sonnolenza di Bonomelli non s’erano preoccupati perché, è la loro versione, Gherardi jr aveva già messo a segno due rapine con il Rivotril e non era accaduto nulla. Il pm Chiara Monzio Compagnoni ne cita però una terza, alla zia 70enne dell’imputato, con furto di una dozzina di anelli e vittima finita in ospedale. Poretti sceglie il silenzio. È stato quest’ultimo a sciogliere il Rivotril nel caffè, secondo Gherardi jr. Che aggiunge: «Io avevo sempre la boccetta con me per placare gli attacchi di panico. A Poretti ho raccomandato: “Mettine pochissimo”. Era quasi vuoto, non avrebbe comunque fatto danni».

Bonomelli accusa sonnolenza già al bar, s’appisola sulla sedia. Loro lo caricano sulla sua Mercedes e lo portano nel parcheggio della zona industriale, gli sfilano la refurtiva e lì lo lasciano. «Russava, non ci siamo preoccupati», rimarca il 34enne. Dopo aver venduto l’orologio lui, il padre e la compagna tornano al parcheggio per vedere come sta. Saranno state le 20, dice. «L’ho sentita come una responsabilità, avevo lasciato lì un essere umano, mica un cane. Lì, solo e svenuto nel parcheggio, magari un balordo... Ma lui russava ancora e ho pensato che di lì a poco si sarebbe risvegliato. Se avessi capito che stava male non mi sarebbe costato nulla fare una telefonata anonima ai soccorsi». Ma nelle telecamere di sorveglianza la loro auto non si vede e, osserva il pm, padre e compagna non hanno mai parlato di questa tappa.

La mattina successiva i carabinieri bussano a casa sua per chiedere informazioni sull’80enne che non era rientrato a casa. «Sono andato nel panico». Allora Gherardi, il padre e Jasmine tornano al parcheggio. «Io entro nell’auto, guardo la mano del signor Bonomelli: la vedo blu. Lui ha la bava alla bocca e constato che è deceduto».

Il figlio della vittima, Emanuele – parte civile con le sorelle e la madre – in aula trattiene a stento le lacrime: così, e per 350 euro, suo padre è stato lasciato morire. «Avrei voluto chiedere scusa alla famiglia Bonomelli», si rammarica Gherardi jr, che in carcere frequenta i corsi di giustizia riparativa. Anche Jasmine e papà Rodolfo si sono detti disposti a intraprendere il percorso. «Più avanti, quando sarò più forte», promette lei, che nelle dichiarazioni scritte si descrive ancora segnata da quella morte.

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