Long Covid, dopo quattro mesi
sintomi nel 53% dei pazienti

La ricerca condotta dal «Papa Giovanni» su 1.536 soggetti in follow up. Venturelli: «Ora la sfida è valutare la relazione tra la malattia e i suoi effetti».

Guarire dal Covid, ma continuare per mesi ad avere sintomi e disturbi, anche diversi da quelli provocati dall’infezione. Succede a più della metà dei pazienti guariti dal coronavirus, secondo una ricerca clinica dell’ospedale Papa Giovanni XXIII, pubblicata a gennaio su «Epidemiology & Infection», e su cui i medici stanno ancora studiando per trovare una relazione, che ancora sfugge, tra la malattia nella sua fase acuta, e il perdurare dei sintomi. È questo il nodo attorno al quale i ricercatori dell’ospedale lavorano ormai da mesi, sulla base dei dati che hanno ricavato indagando le condizioni di salute di 1.536 pazienti che durante la prima ondata della pandemia sono transitati dagli ospedali e dai pronto soccorso di Bergamo e San Giovanni Bianco. «In base alle nostre valutazioni dopo la visita in follow up – spiega Serena Venturelli, infettivologa del Papa Giovanni, che ha condotto lo studio insieme a numerosi altri medici dell’ospedale –, il 53% di queste persone presentavano ancora sintomi a una media di 134 giorni dopo la guarigione dalla malattia, ovvero a circa 4 mesi e mezzo di distanza. Il 45,7% delle persone esaminate sono state indirizzate ad altri specialisti (pneumologi, neurologi, cardiologi e diabetologi) per esami più approfonditi, e alcune di queste sono tuttora in follow up. Solo il restante 54,3% sono stati considerati pazienti che non avevano bisogno di altri interventi».

Malessere generalizzato, deficit di memoria, dispnea da sforzo, disturbi neuro-cognitivi, ma anche in quasi un caso su tre, problemi psicologici: sono questi i sintomi più frequenti rilevati dallo studio e di cui si cercano ancora le cause e le cure. «Stiamo correlando tutte le variabili per capire se esistano dei fattori predittivi durante l’infezione – spiega ancora la dottoressa Venturelli –. Se così fosse, potremmo riuscire a prevedere quali saranno i pazienti che rischiano di manifestare dei sintomi a distanza. Purtroppo è difficile avere variabili o marcatori che permettano questa valutazione nella fase iniziale dello studio, durante la quale si è visto, per esempio, che non c’è una correlazione diretta tra la gravità della malattia e il cosiddetto «long Covid», di cui si inizia a parlare dopo 12 settimane dalla guarigione».

In altre parole, non è detto che i pazienti che hanno sviluppato una malattia più grave, o che hanno particolari comorbilità, abbiano necessariamente conseguenze più persistenti rispetto a chi, ad esempio, è uscito dal Covid senza essere stato ricoverato. E questo è un problema per i medici, che oggi sono alla ricerca di cure per questi sintomi. «La comunità scientifica si sta chiedendo proprio perché per certe persone i sintomi si protraggono per mesi e per altri il recupero è pressoché immediato – dice ancora l’infettivologa del Papa Giovanni XXIII –. E la cosa più preoccupante è non avere a disposizione una terapia da applicare al paziente: mentre per la fase acuta, rispetto a un anno fa, qualche arma in più l’abbiamo, sul long Covid, nel caso in cui tutti i test siano negativi, si è un po’ costretti a convive con questi sintomi fino alla loro regressione».

La strada è ancora lunga (servirà ancora qualche mese, prima di concludere lo studio compiuto dal Papa Giovanni), tuttavia per le persone che non si possono definire ancora guarite, nonostante la fine dell’infezione, è possibile sottoporsi gratuitamente a una serie di test diagnostici (che sarà il medico curante a suggerire), grazie al fatto che il «long Covid» è stato ormai riconosciuto anche dalla Regione, che ha previsto dunque un’esenzione per tanti esami.

Lo studio del Papa Giovanni XXIII, ribattezzato «Surviving Covid-19 in Bergamo Province: a post-acute outpatient re-evaluation», porta la firma degli infettivologi Serena Venturelli, primo autore, Marco Rizzi – direttore del reparto di Malattie infettive e chiamato dall’Oms al tavolo di lavoro internazionale creato su questo argomento – Simone Benatti, Francesca Binda, Gianluca Zuglian, Gianluca Imeri e Caterina Conti, pneumologi, gli psicologi Ave Maria Biffi e Simonetta Spada, il direttore del Dipartimento di salute mentale Emi Bondi, la neurologa Giorgia Camera, la fisiatra Roberta Severgnini, il cardiologo Andrea Giammarresi, il medico di Pronto soccorso Claudia Marinaro, l’endocrinologo Alessandro Rossini, il radiologo Pietro Bonaffini, il direttore del Laboratorio di analisi chimico-cliniche Giovanni Guerra, il direttore del clinical trial center Antonio Bellasi, Monica Casati e Simonetta Cesa, direttore della Direzione professioni sanitarie e sociali.

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