La tragedia diventi una storia di tutti

IL COMMENTO. In questi giorni, cent’anni fa, la diga era piena. Piena fino all’orlo. Era in servizio da una manciata di settimane. Nonostante fosse un’opera tribolata, certo non era immaginabile che alla prima, vera prova di forza la diga cedesse, schiantando a valle 6 milioni di metri cubi di acqua e detriti.

Fra un mese, l’1 dicembre, da quello schianto saranno passati 36.525 giorni. Cent’anni che non sono bastati per rendere questa tragedia una storia di tutto il Paese. Un dolore si lenisce quanto più è condiviso: questo è rimasto un dolore profondo che una sola valle, la Val di Scalve, ha condiviso con la Val Camonica, altrettanto colpita dal disastro.

In queste settimane queste pagine, e insieme il nostro sito web e i canali social, ripercorreranno la storia e la memoria del disastro del Gleno. Per allargarne la «base», perché dopo 100 anni quel dolore sia più condiviso, perché si riesca ancor di più a capire cosa è stato quel disastro per la gente, per le famiglie, per le comunità. E in fondo per tutti. Perché la condivisione vada anche oltre l’occasione del centesimo anniversario, perché di Gleno si riesca finalmente a parlare anche oltre i nostri confini. Non si tratta di giocarsi un derby dei disastri col Vajont: si tratta semplicemente bussare alla porta della storia del Paese, purtroppo segnata da troppe tragedie. I morti non si «pesano», e là dove qualcuno muore per colpa o dolo occorre ricordare, spiegare, trasformare la memoria in storia per cavare, persino da una tragedia, qualcosa di utile.

«Non siano morti invano», si dice di solito usando una frase che specie in Italia rimane inascoltata, buona per i titoli quando la tragedia è «calda» e rimessa nel cassetto in attesa della disgrazia del giorno dopo. Dal disastro del Gleno sono trascorsi 100 anni, ormai, ed è ora che quei morti non siano morti invano. La gente di Scalve non ama le celebrazioni, gli eventi, i riflettori e i clamori. Forse, è sufficiente ricordarsi che è stata una tragedia con 359 morti accertati, e chissà quanti altri. Una tragedia nostra, di tutti, che non può più essere esclusiva di una piccola valle in cima a mille curve.

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