
Volontariato / Bergamo Città
Domenica 27 Luglio 2025
«Il mio mondo che va oltre i colori tra audiolibri, volontariato e la pesca»
LA STORIA. Marianna Mazzola, ipovedente dalla nascita, centralinista in Comune, impegnata alla biblioteca dell’Unione Ciechi.
«Il rosso è acido come le fragole e dolce come l’anguria, ma fa male quando esce da un graffio sul ginocchio» scrive Menena Cottin ne «Il libro nero dei colori», un albo illustrato messicano, che ha vinto numerosi premi per la maniera poetica e innovativa in cui racconta i colori alle persone non vedenti.
Come sono fatti i colori?
«Mi sono chiesta spesso - sottolinea Marianna Mazzola, 54 anni, di Terno d’Isola - come siano fatti i colori. È difficile immaginarlo, è qualcosa che nessuno può spiegarti con precisione». L’unico modo è associarli a emozioni, suoni, sensazioni tattili. Lei, ipovedente dalla nascita, poi diventata cieca, da sempre cerca nei libri nuovi elementi per conoscere e capire: «Ci sono autori che hanno una straordinaria capacità descrittiva. Le loro storie possono portarci pezzi di mondo che non ci è stato possibile conoscere. Ogni libro è come un viaggio, un’avventura». Anche per questo Marianna è entrata nel gruppo di volontari, che si occupano della biblioteca dell’Unione ciechi di Bergamo e con sensibilità cerca costantemente nuovi titoli per ampliarne il catalogo: «Sono sempre alla ricerca di lettori volontari che mi aiutino ad arricchire la scelta, inserendo anche opere degli scrittori locali, che non sono presenti nelle banche nazionali di audiolibri. A volte ci riservano belle sorprese, offrendo punti di vista diversi sulla realtà e sul nostro territorio».
La lettura come mezzo per non fermarsi mai
Così Marianna ha coltivato, grazie alla lettura, l’attitudine a non fermarsi mai, a non disarmarsi davanti agli ostacoli, ad ampliare gli orizzonti anche quando è seduta alla scrivania nel suo ufficio al Comune di Bergamo, dove dal 1990 si occupa del centralino: «Nel tempo ho visto avvicendarsi tante amministrazioni diverse. Ascolto molte voci e sollecitazioni differenti. Non è un lavoro monotono, cambiano ogni giorno ritmo, tempi, richieste».
La svolta del cane guida
Nella strada che deve percorrere da casa, dove vive con la madre, fino all’ufficio la accompagna Linda, una dolcissima femmina di labrador nera, che da tanti anni è il suo cane guida: «All’inizio per spostarmi usavo il bastone per ciechi, ma facevo davvero fatica. Mi pesava molto anche solo percorrere il tratto fino alla stazione per prendere il treno. Era un elemento che mi definiva apertamente come una persona cieca, e non riuscivo ad accettarlo. Ero arrivata al punto che speravo sempre di incrociare qualche conoscente o collega che mi potesse accompagnare, per procedere più in fretta e sentirmi più sicura. Per questo a un certo punto ho deciso di prendere un cane guida».
Marianna si era già confrontata con altri conoscenti, che avevano fatto la stessa esperienza con un riscontro positivo: «Questa scelta ha rappresentato una svolta molto significativa nella mia vita, mi ha aiutato anche ad accettare meglio la mia condizione, permettendomi di liberarmi del bastone, che invece mi creava disagio».
Prima, se qualcuno alludeva alla sua cecità, si sentiva in imbarazzo. «Mi veniva spontaneo nascondere il bastone e negare anche se il mio problema era evidente. La presenza del cane mi ha dato serenità: ha reso impossibile nascondere la mia cecità, ma mi ha anche aiutato a creare legami di simpatia ed empatia con le altre persone».
La sua storia con i cani guida
Il suo primo incontro con un cane guida è stato con una femmina di pastore tedesco di nome Elga, addestrata alla Scuola di Limbiate - servizio cani guida dei Lions. «Era un incrocio tra pastore tedesco e husky - chiarisce Marianna -. All’epoca, nel 1995, le scuole non usavano ancora i labrador. Elga è stata con me fino al 2007, poi purtroppo è morta. Dopo di lei, ho avuto Lisa, Labrador che mi è stata affidata dalla Scuola Nazionale Cani Guida di Scandicci. Purtroppo, Lisa è stata un po’ sfortunata e ha avuto diversi problemi di salute. Dopo otto anni, le è stata diagnosticata una brutta malattia, emersa all’improvviso: una leucemia. Non me l’aspettavo, non ero pronta a fare domanda per un altro cane; quindi, sono rimasta senza per un anno e mezzo».
Ci vuole tempo, infatti, per avere un cane guida, per i primi due anni addestrato da famiglie affidatarie, per apprendere le norme basilari della convivenza con le persone: «Dopo Lisa - prosegue Marianna - è arrivata Linda, anche lei labrador, proveniente dalla stessa scuola di Elga, che ora ha 13 anni ed è ancora con me, anche se adesso mi guida pochissimo, perché è anziana e si muove con lentezza e con più difficoltà. Sono in attesa di un altro cane, ho fatto domanda quasi due anni fa. Un cane ti dà molta autonomia e sicurezza, ti aiuta a socializzare. Ecco perché quando sono passata dal bastone per ciechi al cane mi si è aperto un mondo nuovo. Capitava spesso che la gente si rivolgesse a me per parlare del cane e così nascesse una conversazione. Mi fa sentire libera e mai sola».
Nel periodo di assenza del cane Marianna si è resa conto di quante persone la osservino ogni giorno anche se lei normalmente non se ne rende conto: «Prima, - sorride - non me n’ero mai accorta, e mi ha fatto piacere. Mi ha fatto sentire un senso di vicinanza e di cura».
La cecità poco dopo la nascita
La sua disabilità visiva si è manifestata poco dopo la nascita: «Il parto è stato prematuro, più o meno a sei mesi e mezzo di gestazione, agli Ospedali Riuniti di Bergamo, e l’ipovisione è stata una conseguenza. Fortunatamente non ho avuto altri problemi di salute. I miei genitori non se ne sono resi conto subito ma dopo alcuni mesi. Hanno notato alcune anomalie: non seguivo gli oggetti con lo sguardo, mia madre mi chiamava e io sorridevo ma non rispondevo al suo sguardo. Particolari apparentemente di poco conto che hanno evidenziato che c’era un problema».
Fino all’adolescenza Marianna aveva un residuo di vista, anche se minimo: «Mi permetteva almeno di orientarmi nello spazio, di intuire la forma degli oggetti. A scuola, però, mi hanno insegnato subito il Braille, fin dalle elementari, perché facevo molta fatica a scrivere e leggere. È stato un vantaggio per me, perché ora lo padroneggio benissimo. Mi sono impegnata molto a impararlo, perché ci tenevo a stare al passo con i miei compagni. Avevo la maestra di sostegno, ma non tutti i giorni. All’epoca non c’era l’assistente alla comunicazione, che oggi affianca bambini e ragazzi non vedenti nello studio. Dovevo dividere l’aiuto con un’altra bambina non vedente. A volte prendevo qualche brutto voto proprio per l’ansia di riuscire a fare tutto come gli altri».
Vita migliore grazie alle tecnologie
La tecnologia ha portato molti miglioramenti nella vita delle persone non vedenti e nelle loro effettive possibilità di inclusione: «Oggi c’è la possibilità di usare computer e smartphone con comandi vocali - sottolinea - Marianna -, esistono ottimi software per la dettatura e lettura ad alta voce. Nonostante questo, preferisco sempre usare il Braille, mi sembra di gustare di più i libri e prestare più attenzione a ciò che leggo. Con l’audiolibro, invece, a volte mi sembra che mi sfuggano i dettagli, e se non mi piace mi distraggo subito. Quando andavo a scuola studiavo con le cassette. La maestra di sostegno registrava le lezioni, ma io poi facevo fatica a seguire, a volte mi distraevo».
Dopo le scuole dell’obbligo Marianna si è iscritta alle magistrali: «Ero un po’ pigra nello studio, mi pesava riascoltare le lezioni registrate, e a un certo punto ho deciso di lasciar perdere. Mi sono iscritta a un corso per centralinisti dell’Unione ciechi e poi ho iniziato a lavorare. Ci sono stati periodi difficili, soprattutto durante l’adolescenza, quando mi sono resa conto di aver perso anche il piccolo residuo di vista che mi era rimasto. Le mie amiche crescevano e coltivavano interessi diversi. Iniziavano ad andare in discoteca, a spostarsi in motorino e io mi sentivo un po’ tagliata fuori, e questo mi innervosiva molto».
L’Unione Italiana Cechi e l’associazione Omero
Poi però è cambiato tutto grazie all’incontro con l’Unione Italiana Ciechi e l’Associazione sportiva dilettantistica per disabili visivi Omero: «La mia vita si è arricchita di tanti stimoli nuovi. Quando ero piccola le attività non erano così tante, oggi per i bambini ci sono corsi di nuoto in piscina, sci, atletica, pesca. Io ho imparato a giocare a torball da adulta, e mi piace molto. Ora faccio parte del consiglio sia dell’Unione ciechi sia del Gruppo sportivo. Svolgiamo anche un’intensa attività di sensibilizzazione: le nostre attività permettono di coinvolgere tante persone e mostrare loro come vivono i non vedenti. C’è chi pensa ancora ai ciechi come persone che se ne stanno sedute su una sedia ad aspettare di essere aiutate, ma non è così».

Per l’Unione ciechi Marianna segue le attività della biblioteca, ma anche di gite culturali e vacanze: «Promuoviamo per esempio visite a città d’arte oppure soggiorni al mare, attività molto apprezzate dai nostri soci. Organizziamo mostre al buio, che offrono la possibilità di scoprire opere d’arte attraverso il tatto, oppure tunnel sensoriali, attività e laboratori che aiutano le persone a mettersi nei panni di chi non ci vede».
Ci sono tante attività che Marianna ha sperimentato grazie all’associazione Omero, compresa la pesca: «Ogni anno, grazie a Club Amatori Pesca Sportiva (Caps) di Scanzorosciate e Società Pescatori Sponda Sinistra Serio (Spsss) di Pedrengo-Scanzorosciate trascorriamo una giornata bella e speciale sulle rive di un laghetto a Bondo Petello. Pescare permette di stare a contatto con la natura, è divertente e piacevole, e alla fine mangiamo tutti insieme alla Festa del pescatore a Pedrengo».
L’impegno nel volontariato è un aspetto importante della vita di Marianna: «Mi sembra importante aiutare gli altri, offrire nuove possibilità alle persone non vedenti, creare legami, contribuire a smantellare gli stereotipi legati alla condizione dei ciechi. Sono piccole cose, ma mi auguro che possano contribuire a creare un mondo più umano e accogliente per tutti».
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