Tra pennelli, tele e l'odore lieve della vernice, Marcello Bonomi ha trascorso una vita intera a dialogare con l'arte. Pittore, restauratore e scenografo, scomparso nel 2018, viene ora ricordato con una mostra al Centro culturale San Bartolomeo di Bergamo, che sarà inaugurata sabato e voluta dal figlio Paolo, cresciuto nella sua bottega.Bonomi, nato a Nembro nel 1931, aveva appreso il mestiere accanto a Mauro Pellicioli, uno dei più grandi restauratori italiani, lavorando su opere di Giotto e Leonardo e arrivando, nel corso di un intervento nel cremonese , a scoprire una tela attribuita a Tiziano.Nei laboratori imparò che restaurare significa anche ascoltare la materia, restituirle respiro e luce.Ma il suo talento non si fermava al restauro. Alla Scala di Milano firmò scenografie e allestimenti, portando in teatro la sua sensibilità cromatica e il gusto per l'armonia dei volumi. Come pittore, invece, amava lavorare en plein air, immerso nei paesaggi e nei giochi di luce delle valli, che sapeva tradurre in colori caldi e vibranti.La mostra al San Bartolomeo ripercorre queste tre anime — l'artigiano, l'artista e il sognatore — restituendo al pubblico l'immagine completa di un protagonista silenzioso del Novecento. Un uomo che, con la stessa mano, sapeva curare l'antico e reinventare il presente.Il servizio di Paola Abrate
Tra pennelli, tele e l'odore lieve della vernice, Marcello Bonomi ha trascorso una vita intera a dialogare con l'arte. Pittore, restauratore e scenografo, scomparso nel 2018, viene ora ricordato con una mostra al Centro culturale San Bartolomeo di Bergamo, che sarà inaugurata sabato e voluta dal figlio Paolo, cresciuto nella sua bottega.Bonomi, nato a Nembro nel 1931, aveva appreso il mestiere accanto a Mauro Pellicioli, uno dei più grandi restauratori italiani, lavorando su opere di Giotto e Leonardo e arrivando, nel corso di un intervento nel cremonese , a scoprire una tela attribuita a Tiziano.Nei laboratori imparò che restaurare significa anche ascoltare la materia, restituirle respiro e luce.Ma il suo talento non si fermava al restauro. Alla Scala di Milano firmò scenografie e allestimenti, portando in teatro la sua sensibilità cromatica e il gusto per l'armonia dei volumi. Come pittore, invece, amava lavorare en plein air, immerso nei paesaggi e nei giochi di luce delle valli, che sapeva tradurre in colori caldi e vibranti.La mostra al San Bartolomeo ripercorre queste tre anime — l'artigiano, l'artista e il sognatore — restituendo al pubblico l'immagine completa di un protagonista silenzioso del Novecento. Un uomo che, con la stessa mano, sapeva curare l'antico e reinventare il presente.Il servizio di Paola Abrate