Yara ha tentato di difendersi?
Dalle unghie si attendono risposte

C'è attesa per conoscere gli esiti delle analisi del materiale trovato sotto le unghie di Yara Gambirasio. Materiale che gli inquirenti hanno definito quantitativamente scarso, ma su cui sono in corso importanti accertamenti.

C'è attesa per conoscere gli esiti delle analisi del materiale trovato sotto le unghie di Yara. Materiale che gli inquirenti hanno definito quantitativamente scarso, ma su cui sono in corso importanti accertamenti di laboratorio: nell'ipotesi che la tredicenne di Brembate Sopra abbia lottato con il suo assassino, le sue unghie potrebbero aver conservato tracce in grado di risalire al suo Dna. Potrebbero essere capelli, peli, brandelli di epidermide, frammenti di tessuto forse appartenenti agli indumenti dell'omicida: sulla natura del materiale repertato dagli invesdtigatori sotto le unghie di Yara vige per ora il più stretto riserbo.

L'ipotesi di una lotta fra Yara e il suo assassino nasce dalle ferite riscontrate sul corpo della tredicenne: quella al polso, più evidente, e alcune ferite più lievi alle braccia. Di certo si sa che una mano è stata trovata sporca di terriccio: forse Yara si è aggrappata al terreno, magari nel tentativo di fuggire e sottrarsi al suo, o ai suoi, aguzzini. Si sa poi che gli inquirenti propoendono per un delitto non organizzato, compiuto in maniera disordinata, e per questo hanno fiducia di riuscire a scoprire grazie alle tracce presenti sul corpo della vittima eventuali errorri commessi dall'assassino.

Grande fiducia – dice chi indaga – è riposta nelle analisi sugli indumenti della tredicenne, nella consapevolezza che certamente l'assassino li abbia toccati. Alcune indiscrezioni parlano di un primo e sommario identikit dell'assassino: un uomo, altro 1,75-1,80, di peso corporeo compreso fra i 73 e i 77 chiloggrammi. Deduzioni queste, compiute a partire dall'analisi delle lesioni ritenute compatibili con ferite da arma da taglio (4 alla schiena, una al collo, una al polso) riscontrate sul cadavere.


Per saperne di più leggi L'Eco di Bergamo del 7 marzo

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