Lo sfogo: «Laureata e cameriera dei vip»
Paolo risponde: servono grinta e tenacia

«Scrivo questa lettera con una grande rabbia addosso. Da ventisei anni che convivo con lo stesso, insopportabile problema: sono laureata ma non trovo lavoro se non come cameriera». Alla giovane risponde un altro lettore, Paolo.

«Scrivo questa lettera con una grande rabbia addosso. Sono una cittadina bergamasca da molte generazioni ed è da ventisei anni che convivo con lo stesso, insopportabile problema. Mi sono laureata in lettere, ho una laurea triennale, una laurea specialistica. Ho fatto una scuola di teatro, ho studiato tanto in questi anni, con impegno, dedizione, amore e passione. Sono laureata ed è da un anno che cerco disperatamente lavoro: ogni giorno, ogni singolo giorno spedisco curricula, consulto i siti internet, inserti, mi tengo aggiornata sui concorsi, eppure niente». Inizia così la lettera inviata a L'Eco di Bergamo da una giovane bergamasca.

«Tutto ciò che sono riuscita a trovare è un misero, inutile e umiliante lavoro in nero, durante il weekend, come cameriera in un ristorante della "Bergamo che conta" - scrive -. Servo ai tavoli avvocati e professionisti, gente che un lavoro ce l'ha e che può permettersi con il sorriso di spendere cento euro a testa per una cena. La mia frustrazione è grande, immensa. Si dice sempre che i giovani italiani sono bamboccioni: ebbene, io ho ventisei anni, e bambocciona sì, mi sento. Mi sento una bambina nel corpo di una donna, perché anch'io vorrei avere una casa, un lavoro, un mutuo che pende come una spada di Damocle sopra la mia testa (perché averlo significherebbe che la banca me l'ha concesso e se me l'ha concesso è perché un lavoro ce l'ho). Anch'io vorrei uno spazio mio, una casa mia, anch'io vorrei essere una donna, perché donna a ventisei anni sono, e non più una ragazza».

«Eppure sono costretta a recitare la parte della bambina, senza un lavoro non si va da nessuna parte. I miei genitori mi aiutano, mi sostengono, non mi fanno pesare la situazione, eppure c'è chi sta peggio di me, e una famiglia alle spalle non ce l'ha, e allora come si fa? Ma a parte la frustrazione di tutta questa situazione non solo bergamasca ma italiana, la cosa peggiore è l'aggravante dettata da un'inclinazione tipica della nostra città - prosegue la lettera -. Nell'attesa di un lavoro mi reco spesso in biblioteca a leggere, mi concedo il piacere di continuare a formarmi, a studiare ciò che più mi piace. In questo silenzio, una sola cosa rompe il fragile equilibro che cerco di costruirmi: gli altri. Le persone non sono più capaci del più piccolo rispetto. Un pomeriggio ho incontrato un compagno di studi (un semplice conoscente) che nel salutarmi mi chiede che cosa ci faccio in biblioteca, dato che sono laureata. E cosa ci faccio lì, dato che forse è il caso che mi dia da fare, forse è il caso che non perda tempo e che mi cerchi un lavoro (insomma - sembra voler dire - mica ci si può gingillare sempre, aspettando che passi per caso qualcosa di buono)».

«Ecco. Questo accade qui da noi. È solo un piccolo esempio, ma potrei citare milioni di situazioni in cui il barista, la cassiera, il tabaccaio, chiunque ti conosca anche solo di vista, si arroghi il diritto di chiedere informazioni più o meno private sul conto altrui. La mia è solo una riflessione da condividere insieme, come uomini e come cittadini di oggi: fermiamoci un momento a pensare prima di investire il prossimo con le nostre domande, seppur di cortesia - conclude la giovane -. Recuperiamo un po' di rispetto e di reticenza, che facevano parte delle generazioni passate, dove ognuno pensava un po' più per sé, e dove, seppur tra grandi silenzi, c'era più rispetto e più agio nel vivere».

Alla ragazza risponde un altro lettore, Paolo A.. «Credo che questa lettera sia propro l'esempio di come, a differenza di quanto afferma la giovane dottoressa, certe persone non abbiano più la voglia di impegnarsi e combattere, Questa ragazza ha ventisei anni, cosa pretende? Di essersi laureata e automaticamente di poter metter su famiglia, comprarsi una bella casa, una bella auto, e magari essere lei seduta ai tavoli che serve buttando senza problemi cento euro per cenare? Si è mai chiesta che cosa facessero alla sua età le persone che serve? Molto probabilmente quello che sta facendo lei, studiavano (le lauree brevi una volta non c'erano) e sbarcavano il lunario con qualche lavoretto. Non tutti sono figli di papà. Io ho 44 anni, due lauree e diversi corsi universitari alle spalle più altri che sto frequentando e le posso assicurare che cento euro per una cena ci devo pensare bene prima di spenderli e sa cosa facevo a 26 anni? Studiavo e lavoravo nel (poco) tempo che avevo a disposizione perchè, a differenza della signorina, gli studi me li sono dovuti pagare io in quanto la mia famiglia, dopo il diploma, mi disse: d'ora in avanti ti arrangi. Forse capire che tutto non piove dal cielo, che bisogna dare tempo al tempo ed avere voglia e grinta di andare avanti sono quello che mancano a certe persone. Fa veramente pensare vedere una ragazza che a ventisei anni vede la vita come un fallito di mezza età quando, in pratica, la sua vita non è neppure iniziata».

© RIPRODUZIONE RISERVATA