Una taglierina per piastrellisti
l'arma delle sei ferite su Yara

Scoperta l'arma del delitto di Yara Gambirasio. Lo scoop è del settimanale «Oggi», con un articolo a firma del giornalista Giangavino Sulas, secondo cui l'assassino di Yara le avrebbe inferto sei tagli netti utilizzando una taglierina da muratore, un attrezzo che viene usato soprattutto da chi posa pavimenti.

Scoperta l'arma del delitto di Yara Gambirasio. Lo scoop è del settimanale «Oggi», con un articolo a firma del giornalista Giangavino Sulas, secondo cui l'assassino di Yara le avrebbe inferto sei tagli netti, «precisi, ma abbastanza superficiali su schiena, collo e polsi», utilizzando una taglierina da muratore, un attrezzo che viene usato soprattutto da chi posa pavimenti.

Secondo Sulas, si tratterebbe di una «taglierina affilatissima e sottile che serve per delimitare e ripulire i bordi delle piastrelle quando vengono posate e incollate al pavimento».

«L'arma - scrive Sulas sul sito del noto settimanale - è stata individuata da Cristina Cattaneo, l'anatomopatologa alla quale la Procura di Bergamo ha affidato l'autopsia. Il medico legale infatti ha scoperto su tutte le ferite una materiale particolare: i residuati delle piastrelle quando vengono ripulite con la taglierina. A questo punto la Cattaneo non ha avuto più dubbi: quei residui può averli lasciati solo l'attrezzo di un piastrellista».

«Il particolare della taglierina da muratore - continua Sulas - si aggiunge al pulviscolo di cemento scoperto sugli abiti e nei bronchi della ragazza. Questo significa una sola cosa: Yara è stata rapita e trascinata in un cantiere dove ha lottato, si è difesa, è stata sbattuta per terra e ha vissuto tanto da respirare le polveri di quell'ambiente. Il collegamento con il famoso cantiere di Mapello è immediato perché tre giorni dopo la scomparsa i cani molecolari, dopo aver annusato un indumento di Yara , hanno puntato tutti su quel cantiere, e uno di questi cani ha addirittura condotto gli inquirenti all'interno di un deposito di materiale elettrico».

A questo punto il settimanale «Oggi» riaccende i riflettori sul muratore marocchino Mohamed Fikri, arrestato il 3 dicembre 2010 su un traghetto diretto in Marocco a causa di una controversa intercettazione telefonica dalla quale, in un primo tempo, sembrava trasparire che potesse essere al corrente di notizie decisive sulla fine della ragazza scomparsa. L'uomo lavorava nell'ormai famoso cantiere dell'ex Sobea di Mapello, dove i cani utilizzati per le ricerche avevano regolamente «puntato», perdendo proprio lì le tracce di Yara.

Ma il pm che indaga sull vicenda, Letizia Ruggeri, seguendo le tesi di alcuni traduttori secondo cui il senso delle frasi intercettate al Fikri nulla hanno a che vedere con il sequestro della ragazzina di Brembate di Sopra, si convince della sua innocenza, tanto da non richiedere al Gip nemmeno la custodia cautelare in carcere, chiedendo invece l'archiviazione della posizione del marocchino in tutta la vicenda. Un punto su cui il Gip non ha ancora deciso.

Su questo punto Sulas avanza un ultimo dubbio, anche perché - scrive in chiusura - «si è scoperto che Fikri prima di lavorare al cantiere di Mapello, aveva lavorato in un capannone di Chignolo, a cento metri dal campo dove il 26 febbraio scorso fu ritrovato il corpo martoriato di Yara».

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