Il ricordo degli alpinisti amici:
«vero montanaro dal cuore d'oro»

Marco Confortola, Hans Kammerlander e Silvio Mondinelli ricordano l'amico e compagno di imprese scomparso tragicamente mercoledì mattina. «Era un vero montanaro dal cuore d'oro».

Il valtellinese Marco Confortola, grande amico e compagno di otto spedizioni di Mario Merelli, non può non ricordare l'alpinista. «Quando Silvio Mondinelli mi ha telefonato – dice – per qualche secondo sono rimasto immobile. Poi ho realizzato e ho pianto». Nel cuore le immagini più belle e i momenti più duri passati sugli 8.000 insieme a Mario e nel cervello il deja vu della morte, che nel 2008 sul K2 lo risparmiò strappandogli 11 compagni di spedizione. «Ora Mario non c'è più, nessuno potrà riportarcelo indietro. Con lui avevo un rapporto speciale, insieme avevamo compiuto parecchie spedizioni importanti. Ho perso un amico vero, un uomo meraviglioso. Nel 2004 abbiamo scalato l'Everest e il K2, l'anno successivo invece gli 8.000 del Shisha Panga in Tibet. Nel 2006 la sfida con il gigante Lhotse e dopo 2 anni ancora lì, stavolta dalla stazione Colle Sud. L'ultima battaglia insieme dovevamo farla l'anno scorso sul Dhaulagiri in Nepal, ma purtroppo non sono partito perché ho avuto un incidente sulle piste da sci».

Parole di affetto e stima anche da Hans Kammerlander. Il re degli alpinisti è rientrato giovedì mattina da una spedizione in Antartide e la tragica notizia di Mario è stata per lui uno choc. «Poco dopo essere sceso dall'aereo – ha detto l'altoatesino – ho saputo dai miei collaboratori della morte di Mario. Una tragedia terribile, esprimo il più profondo cordoglio alla sua famiglia e a tutti i suoi amici. Purtroppo non abbiamo mai avuto occasione di fare una spedizione insieme, aveva tanta determinazione e grinta. A volte le montagne più conosciute che riteniamo più accessibili sono le più dannate».

Anche Silvio Mondinelli, che tutti conoscono come «Gnaro» aveva un feeling particolare con Merelli. Non ha parole il re degli 8.000 che ha affrontato le 14 montagne più alte del mondo senza ossigeno. La morte di Mario è un muro invalicabile. «La sua ultima scalata – dice con la voce rotta dall'emozione – l'ha compiuta sulle montagne sopra casa. Era l'espressione del grande alpinismo classico che aveva praticato dall'Himalaya alla Patagonia, fino all'Ecuador. Dove c'era una vetta, c'era anche lui. Mi stringo attorno alla sua famiglia, in particolare a mamma Luigina. Mario era umile e semplice. Stava lontano dal protagonismo e dalle ribalte. Un talento nello sport che amava e un vero montanaro dal cuore d'oro».

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