«I difetti della sanità bergamasca?
Grandi slanci ma autoreferenziale»

di Alberto Ceresoli

Al suo ultimo giorno di lavoro alla guida dell’ospedale Humanitas Gavazzeni, Giorgio Ferrari tira le somme di un’esperienza che lo «ha cresciuto umanamente e professionalmente in maniera significativa».

di Alberto Ceresoli

«Il vero rischio della sanità bergamasca è quello di sconfinare nell’autoreferenzialità. È un rischio reale, concreto, e proprio per questo tutto ciò che può aiutare a rifuggire da un simile atteggiamento deve essere messo in atto».

Al suo ultimo giorno di lavoro alla guida dell’ospedale Humanitas Gavazzeni, Giorgio Ferrari - 54 anni, da quasi 12 al capo della seconda struttura sanitaria cittadina - tira le somme di un’esperienza che lo «ha cresciuto umanamente e professionalmente in maniera significativa, per l’intensità delle relazioni, in un settore complesso, che mi ha fortemente sollecitato non soltanto sul piano lavorativo. Lascio Bergamo portandomi nel cuore un’esperienza molto gratificante e di questo non posso che ringraziare il gruppo Humanitas per l’opportunità che mi ha offerto».

A Ferrari subentra Giuseppe Fraizzoli, manager con esperienza in campo sanitario a livello nazionale e internazionale, che ha lavorato in numerose strutture tra cui l’ospedale San Raffaele e il Centro Diagnostico Italiano di Milano di cui è stato amministratore delegato

Torniamo all’autoreferenzialità. Sembra un concetto interessante.

«Credo che la sanità bergamasca sia un po’ lo “specchio” di questa città. Una città fatta di grandi slanci, di grande umanità, di grandi competenze, di persone veramente dedicate alla causa, che però finisce con il dedicare più tempo ad autoreferenziarsi piuttosto che a dare l’ultimo impulso necessario alla crescita definitiva, al salto di categoria. Prenda il sottopasso della ferrovia...».

Perché?

«Lo veda dal punto di vista simbolico. La sua apertura non è stata un semplice collegamento pedonale, ma un’apertura verso l’esterno della città, verso il “fuori”. È arrivata tardi, certo, ma alla fine è arrivata, perché era ed è necessaria. E guardi ora quanti problemi sta dando ancora alla città... Mi sembra un caso emblematico».

Parliamo di sanità. Nei suoi 12 anni di lavoro, «Gavazzeni» è diventata «Humanitas Gavazzeni», ha raddoppiato il fatturato (che ora sfiora i 100 milioni di euro), ha più che raddoppiato i posti letto, il numero dei ricoveri è «schizzato» verso l’alto, l’attività ambulatoriale è letteralmente esplosa e ora è a un passo dal milione di prestazioni. La superficie della clinica è triplicata, il personale è raddoppiato, gli investimenti hanno raggiunto i 100 milioni, e il Pronto Soccorso registra 33 mila accessi l’anno. Non sono numeri che si raggiungono per caso.

«Sono numeri che si raggiungono solo circondandosi di validi collaboratori».

Suona un po’ retorico...

«Non è vero, mi creda. Per crescere servono collaboratori più bravi di noi stessi, e io ho avuto la fortuna di averne molti, anche con competenze che vanno oltre quelle specifiche. Non è vero che i direttori generali sanno fare tutto: bisogna avere gente competente e capace, che ci mette anima e corpo. Qui è successo così: la fatica, i successi, gli insuccessi sono la fatica, i successi, gli insuccessi di tutti».

Ma i collaboratori vanno scelti...

«Alcuni si, ma altri te li trovi, e anche da questi è necessario saper cogliere gli aspetti di forza, per valorizzarli e crescere tutti insieme. Devo molti “grazie” a molte persone».

Per la sanità privata accreditata sono anni difficili, alle prese con tagli continui e significativi. Lei però ha reagito proseguendo con gli investimenti e tenendo alta la qualità. Come ha fatto?

«Gli investimenti sono stati permessi dal Gruppo Humanitas, cui va il merito di essere stato lungimirante. Per il resto abbiamo cercato di mantenere un aggiornamento tecnologico coerente con la qualità dei nostri operatori e rivedere continuamente i processi clinici per mantenere gli standard qualitativi ad un certo livello. Non dimentichiamo poi che anche la concorrenza aiuta a crescere: più il “pubblico” è forte e più il “privato” deve rafforzarsi, a patto che sia una concorrenza sana, verificata e controllata, a garanzia e tutela dei pazienti».

A proposito di concorrenza, com’è andata con gli altri «competitor» sul territorio?

«Il “Papa Giovanni” ha alcune eccellenze, ma non sono mancati momenti di confronti e scambi di idee che hanno consentito una crescita comune, ad esempio in Cardiochirurgia e in Oncologia, per non parlare degli ottimi risultati ottenuti sulla corretta gestione del sangue».

E con gli altri?

«Con l’Asl si sono avvicendati anni tribolati, anni creativi e anni produttivi, tutti caratterizzati dal massimo rispetto e da grande collaborazione: alla severità dei controlli è stato però unito l’affiancamento di personale esperto per la soluzione dei problemi, e questo ha favorito il miglioramento dei processi. Anche con l’ospedale di Seriate si è aperto un confronto interessante, mentre sul fronte della riabilitazione siamo riusciti ad aprire percorsi clinici condivisi con diverse strutture, tra cui la clinica San Francesco, l’istituto Palazzolo e la clinica Quarenghi di San Pellegrino».

Ora lo può dire: quali sono i pregi e i difetti del servizio sanitario bergamasco?

«La condivisione di protocolli clinici su alcune patologie croniche ha creato una vera uniformità nelle cure verso i pazienti, limitando l’autoreferenzialità di cui si è detto. E questa è una cosa buona. Servirebbe invece un ulteriore e decisivo sviluppo in ambito neurologico e neurochirurgico».

Con Bergamo taglierà i ponti?

«Spero di no: dovrei restare nel CdA di Humanitas Gavazzeni e in quelli dell’Istituto Angelo Custode e della Fondazione Piccinelli. Al di la di tutto, i bergamaschi mi resteranno nel cuore».

Ferrari non lascerà comunque Humanitas: all’interno del gruppo, infatti, si occuperà dello sviluppo di alcuni importanti progetti che si concretizzeranno nei prossimi mesi.

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