L’ultima chiamata di Bossetti
«Fu fatta al cognato. Poi il silenzio»

Alle 17,45 del 26 novembre 2010 dal cellulare di Massimo Bossetti parte una chiamata al cognato Osvaldo Mazzoleni, il marito della sorella Laura. È questa l’ultima comunicazione del presunto assassino di Yara Gambirasio prima che il suo telefono si ammutolisca per tredici ore.

Alle 17,45 del 26 novembre 2010 dal cellulare di Massimo Bossetti parte una chiamata al cognato Osvaldo Mazzoleni, il marito della sorella Laura. È questa l’ultima comunicazione del presunto assassino di Yara Gambirasio prima che il suo telefono si ammutolisca per tredici ore, fino al mattino successivo, alle 7,34 minuti. «Era scarico», dice Bossetti. La cella telefonica agganciata nell’ultima chiamata (quella delle 17,45) è stata quella coperta dal ripetitore di via Natta a Mapello. La stessa agganciata dal telefonino di Yara Gambirasio alle 18,49, quando riceve l’ultimo sms da una sua amica della ginnastica ritmica. Coincidenze? È quello che dovranno stabilire le indagini in corso in queste ore.

L’ultima persona che avrebbe parlato con Bossetti prima della scomparsa della tredicenne di Brembate è quindi il cognato Osvaldo, che vive insieme alla moglie e alla famiglia ad Almenno San Salvatore, in via Buttinoni, dove si dedica anche alla sua attività lavorativa nel mondo dell’edilizia. E proprio un cantiere sarebbe ora sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti: Bossetti infatti si è difeso davanti al giudice dicendo che nel periodo della scomparsa di Yara, perciò anche il 26 novembre, stava lavorando in un cantiere per la realizzazione di villette a Palazzago. La sua versione sul punto è stata riscontrata anche da chi conduce le indagini. Nel verbale dell’interrogatorio, oltre a proclamare la sua innocenza, Bossetti ha affermato che «si trovava a lavorare a Palazzago in un cantiere edile del cognato Osvaldo Mazzoleni – si legge nell’ordinanza del gip Ezia Maccora – e che subito dopo il lavoro è tornato a casa dai suoi familiari effettuando a bordo del suo furgone Iveco Daily il tragitto abituale che lo porta a transitare anche davanti al centro sportivo di Brembate Sopra ed è quindi possibile che il suo cellulare abbia agganciato alle 17,45 la cella di Mapello in via Natta».

Come detto, gli inquirenti hanno verificato qualsiasi mossa del presunto killer, confermando che quel giorno Bossetti era stato a lavorare al cantiere di Palazzago. Lì, secondo le sue dichiarazioni, avrebbe incrociato in passato, solamente una volta, il papà di Yara, Fulvio Gambirasio, geometra. L’incontro sarebbe avvenuto in un momento posteriore alla scomparsa di Yara. «Non ho mai conosciuto Yara – si legge ancora sul verbale di Bossetti - in un’occasione ho incrociato per lavoro il padre Fulvio Gambirasio quando era sul cantiere di Palazzago, nel periodo in cui la figlia era già scomparsa. Se fosse successa una cosa del genere a mia figlia, non avrei più avuto la forza di tornare a lavorare».

Massimo Giuseppe Bossetti lavorava dal 1991 come muratore: all’inizio all’impresa edile «Remondini» di Mapello e dopo il 2001 in proprio. Anche Fulvio Gambirasio, che in passato ha lavorato per un’impresa di allestimenti fieristici a Valbrembo e per una ditta di pavimentazioni a Ponte San Pietro, avrebbe riferito agli inquirenti di aver incontrato una sola volta Bossetti, non ricordando dove. Due versioni che non tornano però a Paolo Gamba, il titolare di «Gamba Coperture», la ditta per cui ha operato Fulvio Gambirasio: «A Palazzago – afferma – ne abbiamo fatti parecchi di cantieri, ma sicuramente non l’ho mai incontrato nelle nostre strutture. Ho incrociato una volta Bossetti circa quindici anni fa, quando era assunto per una ditta di Mapello. Da allora l’ho perso di vista e non ci siamo più rivisti. A memoria davvero non ricordo nulla e credo che neanche Fulvio l’abbia mai visto sul posto di lavoro. I nostri cantieri hanno la caratteristica di essere veloci, un mese al massimo, e può essere che in quel periodo non fosse andato a Palazzago».

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