Pedofilia, il «certificato» fa discutere
Le associazioni: spalle al muro

È stato chiamato, ufficiosamente, «certificato antipedofilia», e negli ultimi giorni sta facendo preoccupare un po’ tutti. Per i modi e i tempi che mettono con le spalle al muro qualsiasi associazione presenti volontari o lavoratori a contatto con minori.

È stato chiamato, ufficiosamente, «certificato antipedofilia», e negli ultimi giorni sta facendo preoccupare un po’ tutti.

Non perché si discuta la scelta di cercare un nuovo mezzo per combattere lo sfruttamento minorile, ci mancherebbe altro, ma per i modi e i tempi che mettono con le spalle al muro qualsiasi associazione presenti volontari o lavoratori a contatto con minori.

Quindi non solo società sportive, ma anche scuole, gruppi scout, oratori e via dicendo: il decreto legge pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n° 68 (in seguito a una direttiva dell’Unione europea), infatti, dice che la scadenza è domenica 6 aprile, ma tecnicamente nessuno ha la possibilità di mettersi al passo.

Scadenza per cosa? Per richiedere alla Procura, presso il casellario giudiziale, il certificato penale dei propri dipendenti (o volontari, va ricordato), in modo di documentarne l’assoluta trasparenza: chi non si adegua rischia una sanzione tra i dieci e i quindicimila euro. Tutto sacrosanto, se non fosse per la tempistica: il decreto legislativo risale solo al 4 marzo e, peraltro, in pochi se ne sono accorti fino a qualche giorno fa.

Le valutazioni all’insegna dello scetticismo sono molte: innanzitutto, un datore di lavoro, nel rispetto delle leggi sulla privacy, non potrebbe acquisire informazioni simili sui propri dipendenti, quindi è lecito richiedere un certificato che attesti soltanto l’assenza di reati di pedofilia? Teoricamente no e, dunque, si correrebbe il rischio di scoperchiare il vaso di Pandora contenente tutte le piccole malefatte di certo meno pesanti di un reato di tale gravità.

Senza contare l’esborso economico: ogni richiesta, tra una marca da bollo e l’altra, andrebbe a costare intorno ai 30 euro, che diventerebbero una cifra imponente in caso di società che coinvolgono un grande numero di persone.

Per saperne di più leggi L’Eco di Bergamo del 4 aprile

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