Se l’impossibile
diventa possibile

La decisione del Pentagono – tuttora soggetta all’approvazione di Obama – di fornire direttamente armi e munizioni ai Curdi siriani in vista della prossima offensiva contro la capitale dell’Isis Raqqa potrebbe avere effetti sconvolgenti su tutta la regione mediorientale. Essa rappresenta infatti una specie di riconoscimento della cosiddetta Repubblica di Rojava, la fetta di territorio nel Nord-Est della Siria che i Curdi si sono ritagliati durante la guerra civile. Il Rojava, originale esperimento di democrazia mediorientale, si considera già uno Stato, al punto di avere aperto rappresentanze in varie capitali, da Mosca a Berlino e a Parigi.

Se a questo si aggiunge che nell’Iraq settentrionale esiste fin dalla Guerra del Golfo del 1991, una prospera Regione autonoma curda, dove a fine anno sarà indetto un referendum per chiedere la piena indipendenza da Baghdad, si comincia a intravvedere la possibilità che i 30 milioni di Curdi, uno dei più grandi gruppi etnici del mondo privi di unità nazionale, riescano finalmente a coronare un sogno vecchio di un secolo.

Già nel 1920 infatti, con il trattato di Sèvres che sancì la spartizione dell’Impero ottomano, ai Curdi, popolo di religione musulmana, ma di origine indo-europea, fu promesso uno stato indipendente a cavallo tra Iraq, Siria, Turchia e Iran. Ma appena tre anni dopo, con il trattato di Losanna, le potenze occidentali si rimangiarono la promessa e i Curdi furono suddivisi tra i quattro Stati confinanti, con circa il 55% in Turchia, il 20% in Iraq, il 6% in Siria, il 4% in Iran e il resto sparso per il mondo in una diaspora paragonabile a quella degli Ebrei e degli Armeni. Per quanto assai meno pubblicizzata di quella israeliano-palestinese, da allora la questione curda ha agitato periodicamente il Medio Oriente, specie quando Saddam usò contro di loro le armi chimiche; e, in seguito ai recenti conflitti in cui i «peshmerga» hanno mostrato tutto il loro valore (ricordate la battaglia di Kobane?), è tornata prepotentemente alla ribalta. Certo, gli ostacoli alla nascita di un Kurdistan unito e indipendente rimangono enormi. Con la possibile eccezione dell’Iraq, che per la propria debolezza, avrebbe oggi difficoltà ad opporsi a una secessione delle province curde, e della Siria, comunque destinata a una suddivisione per etnie se la guerra civile avrà mai termine, gli altri due Paesi coinvolti non hanno la minima intenzione di mollare. In Turchia, dove i Curdi rappresentano il 18% della popolazione e sono addirittura maggioranza nel Sud-Est del Paese, Erdogan, dopo un vano tentativo di conciliazione, ha lanciato contro di loro una guerra spietata, che ha già fatto decine di migliaia di morti ed è la principale causa degli attentati che con sempre maggiore frequenza colpiscono Istanbul, Ankara e altre città.

I Turchi sono riusciti a fare classificare il PKK, l’esercito di liberazione curdo, in origine di matrice marxista, come organizzazione terroristica, e ora combattono anche i loro alleati siriani del Rojava, per evitare che una entità statale curda si consolidi ai loro confini meridionali. I Curdi turchi, anche civili, sono oggetto di continue persecuzioni, hanno un reddito pro capite che è solo il 40% di quello nazionale, e mai e poi mai il Sultano concederebbe loro un diritto di secessione che priverebbe il Paese di un quarto del suo territorio. I Curdi iraniani stanno, se possibile, anche peggio, se non altro perché sono sunniti in un Paese sciita, e sono stati duramente repressi ogni volta che hanno avuto il coraggio di alzare la testa.

A rendere le cose ancora più complicate, ci sono le profonde rivalità che dividono il popolo curdo, che non ha neppure una vera lingua in comune. Il Kurdistan iracheno è spaccato tra il clan dei Barzani e quello dei Talebani, i Curdi turchi tra coloro che seguono il PKK e quelli che cercano ancora un compromesso con Ankara, tra quelli iracheni e quelli siriani sussistono vecchi rancori. Se vogliamo, è un po’ quello che succede ai Palestinesi. Ma a parte questi problemi, la situazione si è messa in movimento, l’appoggio americano alla Rojava ha provocato la furiosa reazione della Turchia e, con il caos che regna, anche quello che ieri appariva impossibile diventa, almeno sulla carta, possibile.

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