Detenuti al lavoro in carpenteria, da Lallio parte un nuovo progetto

L’accordo Bergamo apripista per il progetto che vede in campo Confartigianato, associazionismo e carcere. Il titolare della ditta: c’è sempre un’opportunità. Giambellini: esempio virtuoso, ora altre imprese aderiscano.

La filosofia di fondo è quella del pragmatismo. Concretezza orobica: c’è un problema, lo si risolve. Si costruisce un modello virtuoso, si dà l’esempio. L’incrocio tra imprenditoria e reinserimento sociale per i detenuti passa da un nuovo progetto, cucito grazie all’esperienza del carcere di Bergamo, al lavoro di «ponte» dell’associazionismo di via Gleno e all’impegno di Confartigianato: due detenuti lavoreranno in un’azienda metallurgica di Lallio. Sarà il primo seme – in caso di esito positivo del percorso d’inserimento aziendale – di una collaborazione che si vuole estendere su più ampia scala.

Progetto pilota

Tutto è nato da un giro di telefonate e incontri. Con piglio appunto pragmatico, oltre che attenzione per il sociale: «Siamo perennemente alla ricerca di risorse umane – spiega Alessandro Benedetti, titolare della “AB Carpenterie” di Lallio, l’imprenditore “pioniere” del progetto –, e vogliamo cogliere questa opportunità. Nel laboratorio di saldatura attivo all’interno del carcere di Bergamo c’è un insegnante che conosco, perché collaboriamo anche col Patronato San Vincenzo; mi ha parlato molto bene di quel laboratorio e di chi lì sta acquisendo competenze professionali. Non voglio giudicare il passato dei detenuti, gli errori possono farli tutti: voglio valutarli come lavoratori. In ogni problema, ci può sempre essere un’opportunità». «Molte volte la società ritiene che le porte del carcere debbano restare chiuse, ma la difesa sociale non si fa buttando la chiave – ragiona Teresa Mazzotta, direttrice della casa circondariale di Bergamo –: serve un giusto equilibrio. Il carcere può proporre percorsi di revisione critica che diano nuove opportunità. Dialoghiamo costantemente col territorio, ci siamo mossi per esempio per realizzare laboratori che possano sviluppare attività formative per i reclusi ma anche attirare delle commesse da lavorare all’interno del carcere».

«Reinserimento fondamentale»

«È una collaborazione che si è creata negli ultimi due-tre mesi – spiega Giacinto Giambellini, presidente di Confartigianato Bergamo –, il carcere è una realtà interessante per il territorio. Vogliamo creare una contaminazione positiva per tutti: vogliamo diffondere il messaggio, far sì che anche altre imprese aderiscano in seguito. Le aziende hanno sempre bisogno di manodopera, le attività del carcere possono portare alla formazione di competenze. Il buon esempio è il miglior biglietto da visita: saranno i detenuti i veri testimonial, si potrà creare un passaparola virtuoso». «Consideriamo fondamentale il reinserimento nella società di quelle persone che hanno avuto un passato difficile. Ci muoveremo per diffondere l’iniziativa e sensibilizzare», aggiunge Stefano Maroni, direttore di Confartigianato Bergamo. È il primo progetto di questo tipo che Confartigianato avvia in Lombardia: Bergamo fa da apripista, con l’obiettivo di far germogliare la stessa iniziativa anche in altri territori del Paese.

Salto di qualità

Il raccordo con l’imprenditoria – cioè il cuore dell’accordo presentato mercoledì nella sede di Confartigianato Bergamo – è un salto di qualità sulla strada del reinserimento. Oltre ai tirocini e alle «borse lavoro», si può così puntare ad assunzioni vere e proprie nei più vari settori d’impresa: «Tradizionalmente il recupero sociale e lavorativo passa da cooperative ed enti locali – ricorda Gino Gelmi, vice presidente dell’associazione Carcere e territorio, tra i promotori del progetto –. Ora si fa un passo ulteriore, con la concretezza tipica degli artigiani: questa “pedagogia del fare” è fondamentale». «Chi ha casa e lavoro – ricorda Fausto Gritti, presidente di Carcere e territorio, che ogni anno segue circa novanta inserimenti – ha una recidiva bassissima». «La partita del carcere si gioca fuori dal carcere – chiosa Oliviero Arzuffi, dell’associazione Amici di Areté, realtà da sempre vicina al reinserimento –: lavoreremo insieme sulla sensibilizzazione».

© RIPRODUZIONE RISERVATA