Mennea, il ricordo di Guerini:
«Lo cercavo, non mi rispondeva»

Dici Pietro Mennea e i pensieri di Vicenzo Guerini corrono all'indietro veloci. La Freccia del Sud e il più grande sprinter orobico di tutti i tempi sono stati amici, rivali, compagni di staffetta in nazionale.

Dici Pietro Mennea e i pensieri di Vicenzo Guerini corrono all'indietro veloci. La Freccia del Sud e il più grande sprinter orobico di tutti i tempi sono stati amici, rivali, compagni di staffetta in nazionale.

«Ho perso un secondo fratello, una parte importante di me - dice in lacrime Charlie, 62 anni, leggenda vivente dell'Atl. Bergamo 59 -. Cercavo di contattarlo da qualche mese ma il suo telefono squillava a vuoto. Mi sono chiesto, chissà che cosa c'è dietro i silenzi di quel diavolo di un Pietro…». Mennea era impegnato nella sua sfida più difficile. «Stento a credere che non ci sia più, era l'immagine dell'invulnerabilità - continua Guerini, di cui una lettera è finita anche nell'ultimo libro di Mennea "La corsa non finisce mai" -. Se chiudo gli occhi lo rivedo a Formia, a metà anni '70, quando era il primo a arrivare al campo e l'ultimo a andare via. Quante sfide insieme».

Già, quello fra Guerini e Mennea è un feeling che passa attraverso due medaglie continentali in staffetta 4x100 (bronzo a Helsinki '71, argento a Roma ‘74), altrettante Olimpiadi (finale a Monaco '72 e Montreal '76) e quattro record italiani: «Ma ho nel cuore i tricolori di Torino '76, l'unica volta che riuscii a batterlo nei 100 metri - continua Guerini, in partenza per Roma -. Un aneddoto? Il sospiro di sollievo quando in nazionale lo cambiarono da secondo a quarto frazionista: io ero al lancio, e lui aveva il vizio di partire in anticipo».

Mennea e Bergamo è anche la casacca dell'Athletic Club Bergamo, anno 1984, stagione delle Olimpiadi di Los Angeles e dell'11° (e ultimo) titolo italiano: «Si allenava anche qui, al campo Coni - ricorda Mauro Capponi, presidente della società -. Per il contratto (a quei tempi si parlò di una cifra vicina ai 100 milioni di lire, ndr) bastò una stretta di mano con lui e il prof. Vittori. Più che un'atleta è stato una leggenda, me lo ricorderò per una serietà e una professionalità senza eguali».

Un po' come le sue scaramanzie pre gara: sette sorsi di caffè 70 minuti prima di mettersi ai blocchi. Forse non per caso, ieri, per l'ultima corsa ha scelto le nove del mattino.

Luca Persico

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