Lavoro sommerso, nella Bergamasca un giro d’affari da un miliardo e mezzo di euro

L’ALLARME. Il fenomeno riguarda imprese, attività, colf e badanti: 50mila i lavoratori irregolari. I sindacati: a farne le spese soprattutto le fasce più deboli.

«Economia non osservata», la chiama l’Istat: è l’insieme di quelle attività economiche che «per motivi differenti sfuggono all’osservazione statistica diretta», ed è cioè quella nebulosa al cui interno s’impastano il «sommerso economico» e l’«economia illegale», il «nero» e l’«economia informale». E non è di poco conto, perché l’Istat stima che il lavoro irregolare abbia un’incidenza del 3% sul «valore aggiunto» (semplificando, il Pil) della Lombardia, a cui si aggiunge un altro 1,5% rappresentato da situazioni di «attività illegali, fitti in nero, mance, integrazione domanda-offerta».

Uno studio di Confartigianato ha ipotizzato l’esistenza di oltre 13mila attività irregolari in Bergamasca, per un totale di 50mila lavoratori

Applicando la stima regionale anche su scala provinciale, e calcolando che il valore aggiunto della Bergamasca è pari a 34,4 miliardi di euro (secondo gli ultimi dati della Fondazione Guglielmo Tagliacarne, il Centro studi delle Camere di Commercio italiane), vuol dire che in terra orobica il sommerso vale attorno al miliardo e mezzo di euro, tra lavoro irregolare e altre sfaccettature correlate. Un dato che si gonfierebbe ulteriormente se si considerasse anche la «rivalutazione», cioè quella che l’Istat definisce come «sotto-dichiarazione dei risultati economici delle imprese».

I settori più esposti

Il giro d’affari è ampio, perché ampia è l’economia che germoglia nell’ombra. Nei mesi scorsi, ad esempio, uno studio di Confartigianato aveva ipotizzato l’esistenza di oltre 13mila attività irregolari in Bergamasca, per un totale di 50mila lavoratori; numeri che concordano con un’altra recente analisi della Cgia di Mestre, da cui si ricavava una platea di circa 50mila lavoratori irregolari in Bergamasca.

Informazione e formazione diventano fondamentali, sostengono i sindacati, per combattere il fenomeno e ridurne l’incidenza

E «a farne le spese», riflette Danilo Mazzola, che nella segreteria provinciale della Cisl segue il mercato del lavoro, «sono in primis le lavoratrici e i lavoratori, privati di diritti e tutele previste dall’instaurazione di un rapporto di lavoro contrattualmente regolato, ma anche le aziende oneste che vengono danneggiate con un dumping sleale». Dove s’annida, qui, il lavoro irregolare? «I settori più esposti – ragiona Mazzola – sono quelli fortemente frazionati in piccole-medie imprese, il lavoro domestico e di cura dove le famiglie fanno fatica a sostenere spese regolari».

L’identikit del sommerso

I servizi sono uno degli ambiti più monitorati. «Il terziario è una realtà ampia – premette Nicholas Pezzè, segretario generale della Filcams-Cgil Bergamo –. Nel commercio il sommerso è poco diffuso, lo è invece maggiormente nel turismo. Le situazioni più significative sono poi tra colf e badanti, dove è ancora presente una certa cultura che porta a inquadrare lavoratori e lavoratrici anche in modo non regolare. In altre realtà del terziario si osserva invece il ricorso ai part-time involontari, per esempio nelle pulizie. È più che mai fondamentale rimettere al centro il tema dei contratti». Nella manifattura l’Istat vede un tasso d’irregolarità ridotto al 5%. «Resiste ancora una certa diffusione di lavoro non contrattualizzato o non retribuito in modo adeguato, che interessa soprattutto le fasce più deboli: donne, stranieri, persone che hanno scarsa conoscenza della lingua o della normativa» spiega Sara Nava, segretaria generale della Filctem-Cgil.

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