Dai giovani ai senior e ritorno. Lo scambio che cambia le imprese

CAPITALE UMANO. Nuova ricerca internazionale fotografa le fragilità e le opportunità del lavoro multigenerazionale. Bonacchi (Indeed): «Se i ragazzi insegnano ai colleghi più esperti e i senior trasmettono esperienza, il valore cresce»

Dire ciò che si fa e fare ciò che si dice. È questo, oggi, il nuovo discrimine che separa le aziende che riescono ad attrarre la Generazione Z da quelle che faticano a dialogare con il suo modo di vivere il lavoro. Una richiesta semplice: coerenza, trasparenza, niente retorica. Per alcuni difficile da mantenere nel quotidiano.

La fotografia arriva da una ricerca internazionale che Indeed, piattaforma globale per la ricerca di lavoro e il recruiting, ha commissionato a YouGov. Lo studio, condotto su 11.006 lavoratori e 5.600 recruiter, ha coinvolto nove Paesi: Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Italia, Francia, Giappone, Canada, Paesi Bassi e Australia. L’ Osservatorio Delta Index rilegge la ricerca con il focus della Generazione Z attraverso il contributo di Gianluca Bonacchi, Talent Strategy Advisor di Indeed.

Nel complesso, il quadro è positivo: in Italia il 71% dei lavoratori e il 78% dei recruiter vede nella forza lavoro multigenerazionale un beneficio per atmosfera, relazioni, idee e problem solving. E ancora più solidi sono i numeri legati alla produttività (81%) e alle performance (77%). Ma, accanto ai vantaggi, emergono anche fragilità, differenze di linguaggio, aspettative disallineate.

Differenze nelle competenze

Le sfide che le aziende affrontano oggi sono numerose e complesse. La ricerca evidenzia come il 31% dei datori di lavoro e il 30% dei lavoratori percepisca differenze significative nelle competenze tecnologiche, un dato che mette in luce quanto la tecnologia possa diventare sia ostacolo sia opportunità. Non è solo una questione di familiarità con gli strumenti digitali, ma di approccio al lavoro e alle innovazioni. Anche gli stili di comunicazione risultano differenti: il 32% dei lavoratori e il 27% dei datori di lavoro segnala che modalità e linguaggi divergenti creano incomprensioni quotidiane. A questi si aggiungono conflitti di opinione e stereotipi legati all’età: il 26% dei datori e il 25% dei lavoratori parla di punti di vista contrastanti, mentre il 22% dei lavoratori e il 19% dei datori ammette che pregiudizi generazionali incidono sulle dinamiche quotidiane. La Gen Z è spesso etichettata come «dipendente dalla tecnologia» (58% lavoratori, 50% datori) o disimpegnata (41% lavoratori, 33% datori), mentre i Baby Boomer sono percepiti come poco flessibili (32% lavoratori, 30% datori) e avversi al rischio (24% lavoratori, 24% datori).

Un quarto della forza lavoro

«Le aziende mi parlano costantemente delle difficoltà nell’attrarre e trattenere la Generazione Z - racconta Gianluca Bonacchi, Talent Strategy Advisor di Indeed -. Oggi questi giovani rappresentano circa un quarto della forza lavoro e il loro peso continuerà a crescere. Ignorarli o non integrarli nei processi aziendali significa perdere competitività. È fondamentale comprenderne le esigenze, ascoltarli, e strutturare percorsi di lavoro che li mettano al centro senza però dimenticare le altre generazioni».

Non si tratta di stereotipi puramente culturali, ma di elementi che possono avere impatti concreti sul lavoro. «I bias esistono, ma influenzano la performance solo se non sappiamo gestirli», precisa Bonacchi. «All’interno della stessa generazione ci sono milioni di individui con caratteristiche e competenze diverse. Tuttavia, comprendere alcune tendenze comuni permette di valorizzare le persone e di farle collaborare in modo efficace».

Il turnover, spiega Bonacchi, è strettamente legato a questi aspetti. I giovani cambiano lavoro più frequentemente, e spesso le aziende non sono pronte ad accoglierli in contesti coerenti con le loro aspettative. «Se promettiamo dinamicità, innovazione, crescita e poi le pratiche interne non seguono, il giovane talento se ne va. Lo stesso vale se ci concentriamo solo sulla Generazione Z: rischiamo di scoraggiare chi ha più esperienza, che resta fondamentale per trasferire conoscenze e guidare processi complessi».

La tecnologia: un punto d’incontro

Un punto chiave riguarda la tecnologia. Non è più una scelta opzionale: è la base del lavoro quotidiano per la Generazione Z. «Per i giovani la tecnologia non è un vantaggio, è il punto di partenza», spiega Bonacchi. «Se le aziende investono nella formazione tecnologica cross-generazionale, creano una base comune che riduce le incomprensioni e aumenta la produttività. Ma bisogna farlo con consapevolezza: non tutti i giovani sono immediatamente autonomi, non tutti i senior sono disallineati. Serve equilibrio e metodologia».

La comunicazione rappresenta un altro aspetto critico. «La Gen Z chiede chiarezza, rapidità, riscontri concreti», dice Bonacchi. «Alcune aziende hanno sostituito le email con strumenti di messaggistica istantanea o app interne. È un cambio che può sembrare banale, ma fa la differenza: significa comunicare nel luogo in cui la persona si trova, senza costringerla a seguire logiche organizzative rigide». Anche il linguaggio della leadership si evolve. Non più autoritario e distaccato, ma accessibile e partecipativo. Open space, team misti, momenti di confronto diretto: tutto questo non è estetica, ma modello di lavoro concreto.

L’importanza dei valori

I valori diventano determinanti: «Non conta solo che cosa facciamo, ma perché lo facciamo», sottolinea Bonacchi. «Il senso di appartenenza si costruisce quando i giovani percepiscono coerenza tra le parole e i fatti, quando comprendono le motivazioni delle scelte aziendali e vedono come il loro lavoro contribuisce al contesto più ampio». La trasparenza salariale, un tempo tabù, oggi è una leva concreta di motivazione: conoscere i range retributivi aiuta i dipendenti a collocarsi, riduce il pay gap e aumenta l’engagement.

L’engagement, aggiunge Bonacchi, parte molto prima dell’ingresso in azienda. «Comincia dagli annunci, dal modo in cui ci presentiamo online, dalle attività di employer branding. Se promettiamo dinamicità e riscontri immediati, dobbiamo mantenerlo sin dal colloquio. Poi continua con onboarding, formazione e prime esperienze sul lavoro: è lì che si costruisce la fiducia».

Tre leve principali

Tre leve principali motivano la Generazione Z: coerenza tra parole e fatti, percorsi di crescita personalizzati e un’offerta complessiva che includa stipendio, formazione, flessibilità e benefit. «I giovani valutano il presente e vogliono essere valorizzati subito. Se investiamo solo in formazione senza crescita economica, perderemo talenti», sottolinea Bonacchi.

Risultano estremamente efficaci pratiche come il reverse mentoring, un approccio in cui i giovani insegnano ai colleghi più esperti su tecnologia e nuovi modi di lavorare, mentre i senior trasmettono esperienza e conoscenze: un scambio che arricchisce tutta l’azienda. «Se i giovani insegnano tecnologia ai senior e i senior trasmettono esperienza ai giovani, il valore generazionale aumenta. Se questo scambio avviene già nei primi mesi, si consolidano relazioni e senso di appartenenza».

I dati parlano chiaro: il 50% dei lavoratori e il 51% dei datori di lavoro riconosce benefici concreti nella condivisione delle conoscenze; il 45% dei lavoratori e il 44% dei datori sottolinea la ricchezza di esperienza; il 39% dei lavoratori e il 43% dei datori apprezza l’innovazione derivante da prospettive diverse.

La convivenza generazionale non è un compromesso, ma una strategia vincente. E la Generazione Z, con la sua richiesta di coerenza e trasparenza, ricorda alle aziende che la credibilità non si dichiara: si dimostra ogni giorno.

Per approfondire il tema del rapporto tra AZIENDE e GENERAZIONE Z collegarsi al sito dell’Osservatorio Delta Index e di Skillherz

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