Impegno in politica? Ma va alimentato con l’ascolto dei giovani

Come alimentare e sostenere la passione per il “bene comune”? Come vincere la disaffezione e valorizzare l’impegno delle giovani generazioni?

Alle radici della buona politica

Riavvolgiamo per un attimo il nastro e torniamo ai mesi tragici della pandemia. In quei momenti emerse in modo netto il ruolo di sindaci e amministratori comunali, come di chi ricopriva una qualche responsabilità, a diversi livelli, nel gestire i servizi sul territorio. Con l’incalzare della tragedia, crebbe anche un senso di responsabilità diffuso. Dall’assistere anziani e vulnerabili al collaborare con le autorità sanitarie, dal gestire risorse e volontari al comunicare correttamente il da farsi.

Nell’ora più buia, chi si occupava della vita ”civile” (ma lo stesso vale anche per altre figure, come ad esempio parroci e responsabili di associazioni e cooperative) rappresentava realmente l’intera comunità, e l’orizzonte che dava un senso alle scelte quotidiane era davvero quello del “bene comune”, cioè del bene per tutti e per ciascuno.

E oggi? Come è possibile rimanere in questo orizzonte? Si tratta di una sfida decisiva, ne è convinto anche Gianantonio Farinotti, che è direttore degli Uffici di Piano degli Ambiti Territoriali Sociali di Grumello del Monte e Valle Imagna – Villa d’Almé.

Il suo è un punto di osservazione particolare: ha a che fare con la gestione dei servizi educativi e sociali di una trentina di Comuni (8 nella cosiddetta media pianura bergamasca nell’Ambito di Grumello del Monte e 20 nella zona montana e dell’oltre Brembo nell’Ambito Valle Imagna-Villa d’Almè) e dialoga sia con sindaci e amministratori, sia con i cittadini e le realtà del Terzo settore.

«Se non andiamo alla radice della politica e del senso civico – ci dice Farinotti – non colpiamo nel segno. Quale cosa migliore se non quella di rappresentare non solo una parte, ma tutta la comunità in cui vivi e operi? Per dare voce alle istanze vere di luoghi e persone. Questo, paradossalmente, durante la pandemia fu più semplice, perché c’era un’emergenza, un’urgenza evidente a cui corrispondere con iniziative precise e definite. Oggi se uno volesse assumere quel metodo, non solo dunque per la straordinarietà ma per il tempo ordinario, potrebbe ottenere risultati importanti».

Ma quali sono le motivazioni che spingono ancora oggi una persona ad impegnarsi?

«Dipende molto dalla storia di ciascuno. Ma direi che un elemento imprescindibile è la passione. Come in ogni relazione umana, anche nell’interlocuzione con il proprio territorio se uno ha passione si vede; questa si tramuta in azioni concrete nell’incontro con le diverse parti di una comunità: giovani, adulti, persone che accudiscono gli anziani… Rappresentano dei mondi che, se adeguatamente ascoltati, sono forieri di cose buone da considerare e da rilanciare in una prospettiva politica in senso ampio».

E come si può rilanciare questa passione alle nuove generazioni?

«Non è un tema facile. Anche un’iniziativa come l’indagine che state facendo può servire...Perchè occorre prima capire se ci sono degli elementi che rappresentano realmente il modo di pensare oggi dei giovani. Questo lo dico perché ho l’impressione che gli adulti possono avere una visione che è sì utile e importante, ma che non può prescindere dall’ascolto reale dei giovani, e questo, secondo me, oggi manca. Pur con tutte le fatiche, occorre continuamente provare a sollecitare l’attenzione delle giovani generazioni per pensare al futuro con chi il futuro lo vivrà».

In questo contesto di cambiamento, di cosa dovrebbe occuparsi la politica oggi?

«Torniamo agli insegnamenti della pandemia. Noi come direttori dei 14 Ambiti eravamo in seconda fila, non in prima linea negli ospedali. Ci siamo preoccupati nei primi 90 giorni di garantire la tutela dei più fragili, quindi degli anziani, delle persone disabili, di chi andava raggiunto perché solo nella propria casa... Quello che posso dire, come primo punto per chi si occupa della cosa pubblica, è che occorre essere più veloci. Io credo che rispetto alle istanze che arrivano dalle diverse parti del territorio, occorra operare senza indugi. Allora, durante il Covid, se uno ti chiedeva una bombola d’ossigeno, doveva averla subito e non dopo 5 giorni o sarebbe morto. Il Covid ci ha mostrato che se abbiamo delle richieste da parte dei cittadini dobbiamo dare delle risposte immediate.

E poi il secondo punto: la concretezza. Uso sempre il paragone del Covid: se in quel momento non avevi le mascherine “dovevi” trovarle. Oggi, rispetto a cosa “fare” con i giovani piuttosto che con altre fasce di popolazione, dobbiamo puntare alla concretezza delle risposte, cioè non possiamo essere evasivi ed astratti.

Nel caso dei giovani, ad esempio, si può pensare che ci sia un bisogno di “senso”. Benissimo, se hanno bisogno di senso occorre condividere con loro risposte “di senso”, ma adesso, non tra 5 anni. Posso quindi dire, per sintetizzare, che ho avuto la netta percezione che la velocità e la concretezza – senza far aspettare le persone - si siano rinforzate e con loro le motivazioni che ci portano a seguire il ciclo di vita personale e familiare di ciascuno».

Ma questa attenzione alla persona, evidente durante il Covid anche nella sfera politica, oggi c’è ancora o si è indebolita?

«Potremmo dire che c’è stato un calo di tensione. Nulla, dal mio punto di vista, si mantiene nel tempo senza un’adeguata alimentazione. Quindi questa prospettiva che durante il Covid - dentro la tragicità del momento - ha assunto delle fattezze evidenti in termini positivi, dobbiamo ricordarci che va sostenuta e tenuta viva.

Io credo che sia il momento giusto - c’è anche un numero importante di comuni che vanno a elezioni a giugno nella nostra provincia - per rilanciare e per riprendere questo tema, sia per gli amministratori già impegnati, sia per quelli potenziali, che per i giovani che si candideranno. A livello locale e provinciale, servono consessi (penso ad esempio alle iniziative delle Acli e di altri organismi di cui è ricca la terra bergamasca) dentro cui chi vuol fare politica possa intraprendere percorsi formativi in cui non si acquisiscano solo informazioni tecniche - pure importanti, perché fondamentali – ma ci si possa ridire il “perchè”. Perché ci impegniamo? Perché ci candidiamo? Non sono domande né scontate né retoriche ma la base per costruire percorsi di responsabilità nei nostri territori, secondo le logiche del personalismo comunitario».

(Maria Chiara Sertori)

Non limitarti a leggere

Sui temi della famiglia, del lavoro, della vita religiosa e della partecipazione in queste settimane è in corso in Bergamasca una grande indagine sociologica, voluta da L’Eco di Bergamo e in collaborazione con i sociologi dell’Università di Bergamo.

Per capire come e quanto siamo cambiati negli ultimi anni.

Per questo i collaboratori de L’Eco stanno realizzando tante interviste, incontrando testimoni della vita delle nostre comunità. Accompagniamo l’indagine con diversi contributi, ospitando sulle pagine e sul sito de L’Eco pareri, domande e riflessioni. Insieme al contributo di chi, bergamasco, oggi vive e lavora all’estero.

Chiediamo anche a te di comunicarci il tuo pensiero. Vogliamo conoscere le tue idee, per costruire insieme a te una “missione” per il territorio bergamasco. Puoi scrivere a: [email protected]

Bergamo senza confini

Ogni settimana uno spazio riservato ai tanti bergamaschi in giro per il mondo, e che si confrontano con valori ed esperienze diverse. Le loro proposte e riflessioni sono un contributo alla nostra indagine.

«Siate più attenti alla natura e all’ambiente»
Mattia, da Sydney (Australia)

Cosa manca maggiormente ad un bergamasco che vive all’estero? Direi il vivere in una comunità con un’identità e senso di appartenenza culturale molto forte e che non ho l’opportunità di sentire nel vissuto quotidiano. A qualcuno potrà sembrare buffo, ma guardare le partite della Dea, e vedere il supporto passionale dei tifosi sia allo stadio che sui social, è diventato per me un trait d’union spirituale per continuare a sentire la bergamaschità (se è una parola) a distanza. Una cosa che però non può essere replicata virtualmente è il contatto con la natura delle valli e delle Orobie, dove rientro ogni volta che ne ho occasione.

Per quanto riguarda l’”essere bergamasco”, mi sembra che questo si trasmette soprattutto nel mio lavoro. Ho la fortuna di poter insegnare a manager australiani nozioni di etica e filosofia all’interno dell’insegnamento di strategia aziendale. Riflettendo sul mio approccio educativo c’è una chiara impronta “bergamasca”: ho la fama del docente che pretende molto dagli studenti. Dal punto di vista filosofico, l’essere bergamaschi viene sempre visto come stoicità, perenne ambizione al miglioramento e capacità di impegno, dedizione, e anche sofferenza, per il raggiungimento di un obiettivo. Il rovescio della medaglia di questa attitudine è la limitata empatia nei confronti di chi e cosa si trova necessariamente tra noi e l’obiettivo.

Infine: in cosa Bergamo potrebbe o dovrebbe cambiare? Ricercando nell’ambito della sostenibilità sociale e ambientale, vedo la natura come una di quelle ‘cose’ con cui i bergamaschi fanno ancora fatica ad empatizzare. Non voglio assolutamente dire che non riconoscono il suo valore, ma solo che nelle scelte quotidiane e lavorative, più o meno importanti, l’impatto sull’ambiente – e di conseguenza sulle nostre vite – non è ancora al centro dei pensieri.

I bergamaschi hanno dimostrato di saper combattere le difficoltà della pandemia e di risollevarsi velocemente con una forza che riflette esattamente i valori di stoicità sopracitati.

Dato il legame indiscusso tra danni ambientali e l’emergere di pandemie, vorrei che gli stessi valori venissero incanalati celermente in una visione sostenibile per la Bergamo attuale e per le prossime generazioni. Una visione attenta all’impatto che le scelte personali, istituzionali ed economiche hanno sull’ambiente.
Mattia Anesa (Sydney)

«Quel sogno di vivere su un’isola»
Antonella, da Tenerife (Isole Canarie)

Vivo a Tenerife da quasi 10 anni e qualcuno ha già letto la mia storia sulle pagine dell’Eco di Bg. Ho sempre sognato di vivere in un’isola e me lo dicevo spesso: un giorno ci andrò. Qui abbiamo creato con il mio compagno Matteo Cologni un B&B e devo dire grazie anche a lui che mi ha supportato e ha deciso di seguirmi in questa bellissima avventura.

Rispetto a quello che si sente dire adesso da tanti e soprattutto leggendo commenti vari sui social dedicati agli italiani all’estero, io ho deciso di trasferirmi per seguire una parte della mia famiglia: mia figlia Elisa che lavora nel settore alberghiero, e che adesso si è trasferita a Puerto Rico... (magari diventerà la prossima destinazione di vita! , e poi è sempre un’isola...).

Sono qui, non perchè in Italia non si stia bene o si è stanchi della politica, tutti ci lamentiamo di quello che abbiamo, anche i Canari si lamentano della loro politica o del traffico o di altro...

L’isola mi ha regalato il suo cielo azzurro e una miriade di stelle la notte. I sorrisi dei Canari e il tempo di respirare, senza dover correre per lavorare. Abbiamo trovato il tempo di imparare una lingua straniera che ci ha permesso di confrontarci con chi ci vive accanto e di conoscere il loro mondo di isolani e di gente multietnica.

Ma essere bergamasca all’inizio ci ha dato qualche ansietà: ad ogni progetto da portare avanti ci scontravamo sempre con la classica risposta...: “no te preocupes, mañana por la mañana!” (non preoccuparti, domani mattina!) .

Noi in questo non cambieremo mai, il lavoro ce lo abbiamo nel sangue ovunque andiamo, con le nostre responsabilità. Le mie figlie Elisa e Krizia, che vivono anche loro all’estero una a Puerto Rico e l’altra a Parigi, io affettuosamente le chiamo le mie “muratore bergamasche” perchè spesso le chiamo alle otto di sera e sono ancora in ufficio.

Comunque da bergamaschi non ci manca il paiolo e anche se ci sono più di 30 gradi, quando ti viene quella voglia di polenta..., si mette il paiolo al fuoco. All’inizio chiedevamo sempre, a chi veniva a trovarci, di portare farina di mais o qualche formaggio o salame nostrano per ritrovare i nostri sapori, ma ultimamente è tutto semplificato e non credo solo a Tenerife ma in ogni angolo della terra c’é un negozio italiano dove trovare un po’ di “casa”. Grazie.
Antonella Nesci (Tenerife)

«Mi dicono: “Tieni troppo al lavoro fatto bene”»
Elena, da Perth (Australia)

Partendo dal presupposto che sono orgogliosissima di essere bergamasca, questi tredici e più anni all’estero mi hanno fatto apprezzare e riscoprire le mie origini bergamasche, e hanno confermato quanto noi bergamaschi abbiamo quel “qualcosa in più” rispetto al resto del mondo..., e non è solo una comparazione con le altre nazionalità, ma anche un paragone rispetto a italiani di altre regioni.

In questi anni la maggior parte dei miei colleghi e superiori vari, hanno elogiato il mio “hard working”, la qualità del mio lavoro, il mio essere multitasking e l’essere sempre disponibile ad aiutare i colleghi.

Devo però fare una premessa. Sono stata fortunatissima in quanto sono cresciuta con due grandi modelli: mio padre e mia madre, entrambi bergamaschi da generazioni (non a caso il cognome Colleoni, che adoro e amo dal profondo...).

Da mia madre ho preso la qualità di cercare di aiutare gli altri ed essere disponibile per tutti. Ogni volta che le chiedevo: «mamma, posso chiederti un favore?», lei mi rispondeva sempre «Anche due!». Decisamente, mia mamma è stato un grandissimo esempio di altruismo e di generosità, che è una qualità innata del bergamasco.

Da mio padre invece ho preso certamente il lavorare duro, la qualità del lavoro, l’integrità lavorativa ed il fatto di essere multitasking. Mio padre ha mantenuto e cresciuto una famiglia di 8 persone (siamo 6 figli, io sono la più piccola) e molto spesso lavorava giorno e notte e faceva tutti i lavori possibili per la casa, da muratore a giardiniere, da elettricista ad idraulico, ecc.. (da qui il duro lavoro ed il multitasking).

Sono particolarmente precisa e minuziosa quando lavoro, e anche questa è una dote che ho preso da mio padre e che è riscontrabile nei bergamaschi. Una volta un mio collega mi ha detto che «tengo troppo al lavoro fatto bene». Mio padre è stato il mio più grande esempio a livello lavorativo. È il classico esempio dell’ “evitare di rimandare a domani, quello che può essere fatto oggi”. I miei superiori esaltano anche il mio essere così “organizzata” ed il fatto che riesca a gestire diversi lavori simultaneamente.

Vivendo a Bergamo forse le persone non si rendono conto che tutte queste caratteristiche, umane e lavorative, siano intrinseche nel bergamasco,... ma io che non vivo a Bergamo mi rendo invece conto che molte altre persone non hanno queste qualità. Il rimandare sempre a domani, è una cosa che mi fa altamente irritare..., anche questa irascibilità l’ho presa da mio padre?

Sappiamo tutti che il bergamasco lavora duro (pregio o difetto?) ed è un fatto risaputo che i muratori bergamaschi siano i migliori al mondo. È proprio questo modo di lavorare (la qualità, l’hardworking, il gestire lavori pesanti e diversi), che mette in risalto il bergamasco, a mio parere. Questo nostro modo di lavorare e di gestire le situazioni è una delle cose che mi rende orgogliosa di essere bergamasca.

Questo nostro modo di affrontare il lavoro ma anche la vita (in modo organizzato, con qualità, impegno) potrebbe anche essere visto come un difetto. Il fatto di cercare sempre la qualità e di evitare di rimandare, di affrontare le situazioni direttamente, senza paura, potrebbe anche essere visto negativamente da occhi altrui.

Penso che a Bergamo la gente lavori troppo e duramente, ma noi bergamaschi siamo cresciuti seguendo questi esempi. Non è un caso strano quindi se la mia più grande amica qua a Perth sia di Bergamo. Quando ho bisogno di una cosa fatta con precisione e subito, so che devo chiamare lei.

Una cosa che ho scoperto e che ho notato in seguito, è anche il tono di voce che abbiamo. Ho sempre avuto il tono di voce alto e questa è una cosa che colleghi e amici mi dicono sempre.

Cosa mi manca di Bergamo? Le persone ed il loro grande cuore. Le nostre meravigliose montagne e i piccoli laghi. I formaggi di montagna. Santa Lucia! Soprattutto, a parte la mia famiglia, a mancarmi sono le montagne e le valli.

Sono un’amante della montagna e adoro andare a fare passeggiate in montagna. La città dove vivo attualmente, Perth, è sul mare e non ci sono profili di montagna o valli dove andare a passeggiare. Certo, ho la spiaggia ed innumerevoli parchi meravigliosi qua, ma le mie montagne mi mancano tanto.

Ogni volta che torno devo assolutamente andare un giorno in montagna o in valle, che sia la Val Brembana, la Val Seriana, il giro dei 5 Laghi a Valgoglio, la Presolana..., insomma non mi importa dove, ma ho bisogno di andarci e mangiare il cibo meraviglioso degli agriturismi e dei nostri rifugi.

Forse la gente non si accorge della bellezza delle nostre valli e delle nostre montagne. Le Prealpi bergamasche sono meravigliose, e questa è una cosa che mi manca tantissimo. Un accenno anche ai nostri piccoli gioielli quali il lago di Endine e Iseo dove vado almeno una volta a fare una passeggiata ad ogni mio rientro.

E riguardo al carattere diretto e forte dei bergamaschi, non potrei non accennare alla nostra tenacia ed al fatto che a noi bastano poche parole per fare tutto.
Elena Colleoni (Perth)

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