Ogni vita un racconto / Bergamo Città
Mercoledì 03 Dicembre 2025
Antiche lavandaie: storie, voci e tradizioni di un mestiere scomparso
Un ricordo delle lavandaie, custodi di gesti, confidenze e tecniche perdute, svanite con l’arrivo della lavatrice, che ha decretato la fine di un passato di fatica, condivisione e tradizioni
Non c’è nessuna necrologia che associ al nome del defunto il mestiere del «lavandaio» o della «lavandaia». Forse perché le professioniste non erano molte o forse perché era una delle attività settimanali che in una casa bisognava per forza fare. Non era semplice, soprattutto in inverno, immergere piedi e gambe nell’acqua fredda, eppure la tradizione spesso associa il lavaggio dei panni con le canzoni e la conversazione. A raccontare la storia delle lavandaie di Treviglio è stata, in un articolo del 1999, Carmen Taborelli di cui riportiamo qualche brano. «Un tempo lavare i panni era davvero un’impresa: quasi un’avventura. Bisognava innanzitutto andare al fosso che, nella Treviglio antica, correva lungo tutto il perimetro della circonvallazione. Inginocchiate sulle pietre, che formavano la spalletta del fosso, le lavandaie insaponavano i panni, li strofinavano sopra, sotto, di lato, manipolandoli così come il fornaio lavora un impasto. Con qualche straccio piegato alla meglio e sistemato sotto le ginocchia per proteggerle ed evitare arrossamenti, le lavandaie lavavano e risciacquavano i panni affidandoli, con un gesto ampio della mano, all’acqua, che limpidissima correva appena più in basso. Li ritraevano subito dopo, per sbatterli e strizzarli sulla pietra, finché del sapone non c’era più traccia».
Qualcuno custodiva dei trucchi del mestiere: «La signora Maria era fortunata. Quando andava a lavare alla roggia Mulini, non si inginocchiava sulla pietra perché aveva una predella di legno con tre lati protetti da assi. Era un regalo del suo vicino di casa: il “suér”, che fabbricava i mastelli. All’interno della “bradèla”, c’era un cuscino imbottito con le piume del pollo “immolato” per il giorno di Natale». E sul trasporto dei panni: «Chi abitava lontano, raggiungeva il fosso in bicicletta, appendendo al manubrio il secchio di alluminio o di rame. Dentro c’erano i panni messi in ammollo il giorno prima con la lisciva: un detersivo sbiancante acquistato in drogheria. Chi era a corto di grana, optava per la cenere del camino, debitamente setacciata».
Un problema non da poco erano le sanguisughe: «D’estate, l’acqua della roggia calava. I contadini, a monte, la usavano per irrigare i campi. L’abbassamento del livello dell’acqua costringeva le donne ad entrare nel fosso per risciacquare. A piedi nudi, ovviamente. La frescura era piacevole. Non era, invece, per nulla piacevole il fatto che le sanguisughe si attaccassero alle parti meno callose dei piedi».
Qualche lavandaia disdegnava il lavatoio a cielo aperto. Preferiva quello coperto, vicino alla «rampàda d’i àsegn»: «la salita degli Asini». Lì non occorreva inginocchiarsi perché il lavatoio era più basso rispetto alla strada. «Era più comodo - si diceva -. E poi, se avevi un capo di biancheria col pizzo, potevi facilmente ostentarlo. Lo giravi e rigiravi tra le mani nella speranza venisse notato ed apprezzato. Più frequentemente, capitava, invece, di sentirsi a disagio per via dei panni un po’ lisi o del lenzuolo giuntato. Allora preferivi lavare di nascosto. Magari al mattino, molto presto, quando il lavatoio era ancora deserto».
«D’inverno - raccontava ancora Carmen Taborelli - le mani, arrossate dal freddo, tendevano ad irrigidirsi. Veniva meno la presa e spesso i panni “scappavano” via, trascinati dalla corrente”. In quel caso, bisognava essere rapidi: risalire i gradini di corsa e spostarsi dall’altro lato della strada, là dove la roggia, ritornando in superficie, faceva una sorta di slargo».
«Al lavatoio di piazza San Rocco di tanto in tanto compariva anche un uomo: il maestro Alcide Pellegrini che, chiesta in prestito una spazzola e, con gesto vigoroso e incurante dei lamenti, lavava i piedi ad alcuni dei suoi allievi di terza elementare. Il fatto non destava molta meraviglia. Si era attorno agli anni Venti, nell’immediato dopoguerra. Era il tempo in cui gli zoccoli imperavano e l’igiene, invece, un po’ meno».
Oltre la fatica, le lavandaie condividevano anche le chiacchiere. Fluivano discorsi non sempre bonari ed innocenti. «Si diffondeva rapidamente la notizia di qualche “smurusada” non del tutto canonica o di qualche fatto piccante. E poi ogni lavandaia aggiungeva qualcosa di suo: un po’ di colore, un po’ di veleno. A Treviglio, è nata così “radio bradèla”. Un notiziario popolare che partiva dalla predella su cui la lavandaia compiva il suo doppio lavoro di lavare e di diffondere le voci. Due funzioni solo in apparenza estranee l’una l’altra. In realtà avevano lo stesso punto di partenza: i panni sporchi della gente».
Luigi Mazzoleni: dalla Roncola in bici per vendere i fiori in via XX Settembre
Nell’agosto 2003 moriva uno tra i personaggi più conosciuti dei bergamaschi: Luigi Mazzoleni il fioraio che portava i fiori nella via centrale della città. La sua storia è stata scritta sul nostro giornale da Vittorio Attanà e ne riproponiamo alcuni tratti. «Mazzoleni ha iniziato subito dopo la guerra, scendendo a piedi da Roncola San Bernardo attraverso le mulattiere, con un mazzo di narcisi nella mano destra e uno di bucaneve nella sinistra. Aveva deciso che quello sarebbe stato il suo lavoro: piazzarsi nel cuore di via XX Settembre e vendere fiori ai passanti del centro. Ci mise poco a capire che quella era la sua vita. E quando non ebbe più dubbi comprò una carretta: un triciclo che quotidianamente copriva di mazzi di fiori freschi, di tutti i colori. Ogni mattina montava in sella e ogni sera riportava la cariola in un deposito di via San Bernardino, dove l’avrebbe ritrovata pronta per il giorno dopo. Con gli anni gli affari crebbero e mise su un negozio per la famiglia in via Broseta. Per la famiglia, sì: perché lui di stare in negozio non ne voleva proprio sapere. Preferiva stare in strada, dove aveva iniziato, con il suo triciclo verde mezzo sgangherato, coperto di rose e tulipani. Così in negozio ci mandava moglie e figli: lui, invece, caricava la carretta e la parcheggiava in via Venti alle 8,30 del mattino, per rimontare in sella dodici ore dopo. Sotto il sole o con la neve. Lo ha fatto fino a ottant’anni suonati, finché la salute glielo ha consentito. A 86 anni, Luigi Mazzoleni, il fioraio con il triciclo, è morto nella sua casa natale alla Roncola».
In molti ancora oggi lo ricordano con il suo gilet scuro buono per ogni stagione e il nodo della cravatta che spuntava appena da sotto, il cappello in testa (che le nipoti ogni anno gli regalavano al compleanno: «Almeno quello lo usa!»), le mani grandi segnate dal lavoro. La prima manutenzione del suo «triciclo» verde è stata fatta alla sua morte. Per la prima volta in cinquant’anni di onesto servizio il mezzo venne spogliato di tutti i fiori e vennero sistemati qualche giuntura e qualche bullone. Oggi si possono comprare i fiori al supermercato, nei dispenser automatici o si possono regalare i fiori anche digitali, ma la poesia del «triciclo» di Luigi Mazzoleni sapeva aggiungere profumo e bellezza ai fiori. E non è né replicabile, né duplicabile.
L’orgoglio di coltivare faticosamente la terra
Tra le necrologie raccolte nel portale Ognivitaunracconto.it dagli anni Cinquanta ai nostri giorni si trovano i nomi di alcuni dei bergamaschi che hanno scelto di portare con se, nell’annuncio funebre, l’amore per il proprio mestiere: l’agricoltore. Eccoli: Mario Oreni, esperto agricoltore, Caravaggio, novembre 1950; Cav. Pietro Motta, industriale e agricoltore, Gazzaniga, dicembre 1951; Giovanni Rubini, agricoltore, febbraio 1952; Battista Oriani, agricoltore, Treviglio gennaio 1953; Cav. Gaetano Viola agricoltore, Covo-Sirmione, novembre 1953; Carlo Schieppati, agricoltore, marzo 1960; Geom. Alessio Attilio Ferrari, agricoltore, Cumignano sul Naviglio, novembre 1960; Alfredo Viola, agricoltore, Fontanella, ottobre 1962; Renzo Locatelli, agricoltore diretto, Bergamo giugno 1963; Giacomo Zanga, Selva di Zandobbio, dicembre 1965.
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