Dove dolore e ricordo si vivono in solitudine

Per un mese il Cimitero Monumentale si trasforma in galleria a cielo aperto: due opere di arte contemporanea accoglieranno i visitatori all’ingresso. Un progetto che invita a guardare il camposanto con occhi diversi, celebrandone la forza trasformativa e il modo unico in cui ci fa percepire il tempo.

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Nella città dei vivi camminiamo veloci, con la testa colma di impegni, come se tutto fosse solo vita e futuro da costruire. Eppure ad accompagnare i nostri passi ci sono strade ed edifici che portano il nome di persone che non ci sono più; di qualcuno di loro conosciamo la storia, di altri no. Non abbiamo la stessa sensazione quando varchiamo la soglia simbolica del Famedio del cimitero monumentale che ci introduce nella città dei morti. Per la sua imponenza e austerità, si manifesta come un varco possibile che ci invita a rallentare e a tornare a misurare il tempo non solo con le agende e con i telefoni, ma con la memoria di chi ci ha preceduto, a prescindere che ne conosciamo la storia, le gesta e l’eredità o meno. È esattamente su questa soglia simbolica e trasformatrice che, a fine ottobre e per un mesetto, prenderanno vita due installazioni artistiche temporanee. A promuoverla è Paola Tognon, storica dell’arte e curatrice della performance. «Il cimitero è lì, a un passo da noi - afferma Tognon -. Vive come una città parallela, fatta di viali e statue, di silenzi che ci osservano e che oggi si rivela come un giardino segreto: il luogo dove il dolore e il ricordo si consumano in solitudine. Con un progetto artistico vogliamo riaprire le sue porte e restituirgli la sua dimensione comunitaria che possa essere abitata dai cittadini che paiono aver dimenticato le potenzialità di questo luogo».

Non è la prima volta che Tognon rimette al centro dell’attenzione luoghi che paiono dimenticati. Lo ha fatto da almeno diciassette anni con Contemporary locus, l’associazione fondata a Bergamo nel 2012 e che ha illuminato negli anni spazi dismessi e dimenticati della città, restituendoli alla cura delle comunità attraverso interventi artistici site-specific. «L’arte è una delle strade per interpretare il presente - spiega Tognon -. Gli artisti non danno risposte ma pongono domande, accendono varchi, ci costringono a guardare da angolazioni nuove. È questo che ci interessa: formarsi insieme, dare spazio alle nuove generazioni, rigenerare i luoghi a base culturale». Anche quest’anno la genesi del progetto artistico prende avvio da un atto di fiducia. Quello nella capacità dell’arte di generare domande anche in un luogo che parrebbe chiuso e di aprire prospettive nuove.

Per questa nuova edizione la scelta è caduta sul Monumentale, progettato tra il 1896 e il 1913 da Ernesto Pirovano. Una maestosa architettura ottocentesca che oggi si trova al centro di un quartiere in trasformazione, ma che appare sempre più distante dalla comunità. «Ci siamo chiesti perché un luogo così significativo per la memoria collettiva non avesse diritto a un’indagine artistica, oltre che storica - racconta la curatrice -. Contemporary Locus 17 lavorerà proprio sulla soglia del cimitero, riaprendo simbolicamente le connessioni con la città dei vivi». La temporaneità rimane al cuore del progetto. «Interveniamo in punta di piedi, per un tempo circoscritto - continua Tognon -. Ogni nostro lavoro ha un respiro limitato, un dialogo sensibile con il luogo e con chi lo attraversa. Nel caso del cimitero, questa scelta assume un valore ulteriore: servono cura, rispetto e anche coraggio. L’arte diventa così una presenza etica, capace di accompagnare la comunità».

Il progetto, sostenuto dal Comune di Bergamo e da altre realtà, presenta un programma intenso che verrà svelato a poco a poco. L’obiettivo è invitare i cittadini a sostare, a respirare più lentamente, a riabitare questo spazio come parte viva della città. «Vorremmo che il Monumentale non fosse più solo il luogo del lutto, ma anche un laboratorio silenzioso dove la vita e la memoria si incontrano; la sua soglia imponente diventa occasione per riflettere sul flusso delle nostre storie».

Archivio de L’Eco di Bergamo

Dopo mesi di sopralluoghi e studi, la curatrice confessa di avere scoperto un luogo sorprendentemente vitale: «Il cimitero è uno spazio davvero laborioso della città, quasi al pari con l’aeroporto, l’ospedale, i luoghi dell’amministrazione. Sono tutti spazi di partenze e arrivi, di mescolamenti. Nel mezzo, poi, ci stanno tutte le vicende umane». L’augurio è che l’arte possa rendere davvero visibile tutto questo, regalando la possibilità di imparare a restare. Non solo per il ricordo di chi non c’è più, ma per la comunità che siamo e che saremo.

L’abbraccio della città ai suoi cittadini illustri

Sulle lapidi poste alle pareti interne del famedio sono scritti i nomi dei bergamaschi che hanno onorato la storia della città. È il sindaco, insieme alla giunta e al consiglio comunale, a ricevere da associazioni e cittadini, le richieste di ospitalità e a discutere e promuovere l’assegnazione di questo gesto d’onore.

Ecco i nomi dei cittadini illustri: Alessandro Nini (1805- 1880), Antonio Cagnoni (1828- 1896), Angelo Mazzi (1841- 1925), Ciro Caversazzi (1865- 1947), Pietro Antonio Locatelli (1695-1764), Arcangelo Ghisleri (1855-1938), Angelo Giuseppe Roncalli (1881-1963), Gianandrea Gavazzeni (1909- 1996), Francesco Nullo (1826- 1863), Giovanni Simone Mayr (1763-1845), Donato Calvi (1613-1678), Torquato Tasso (1544-1595), Luigi Magrini (1864-1933), Giacomo Manzù (1908-1991), Giacomo Quarenghi (1744-1817), Nicolò Rezzara (1848-1915), don Bepo Vavassori (1888-1975), Luigi d’Andrea (1945-1977), Ezio Zambianchi (1892-1945), Giovanni Battista Camozzi Vertova (1818-1906), Giorgio Brumat (1929-2001), Betty Ambiveri (1888-1962).

Per alcuni è presente solo la lapide commemorativa e per altri anche i resti. Questo luogo non è sempre aperto, tuttavia quando è possibile, funziona anche da ripasso della nostra storia cittadina.

Betty Ambiveri: prima e unica donna presente nel Famedio

«Elisabetta Ambiveri, ma per tutti Betty, è stata una grande e bellissima anima a cui, forse un po’ in ritardo, finalmente riconosciamo un posto qui, al famedio – ha detto la sindaca Elena Carnevali inaugurando l’ingresso della Ambiveri nel famedio cittadino–. Elisabetta è stata una figura luminosa della nostra storia che ha incarnato i valori più alti della Resistenza bergamasca coniugati con un instancabile lavoro per le classi più disagiate. Collocarla qui è un atto dovuto di riconoscenza verso chi ha dedicato la vita alla cura degli ultimi e ha lottato per la libertà».

Si tratta dell’unica donna ad aver ricevuto questo riconoscimento, segno di un governo cittadino fino ad ora segnato da un monopolio decisamente maschile. Certamente non è l’unica ad aver onorato la città. Attendiamo nuove candidature.

Giorgio Brumat: Il friulano che promosse la donazione di organi

Penultimo bergamasco (d’adozione, visto che era friulano) ad entrare nel «Famedio» è stato Giorgio Brumat, fondatore dell’associazione Dob, Donatori Organi di Bergamo. A promuovere il suo ingresso è stata la sua stessa creatura, diventata nel frattempo Aido, che ha sottolineato l’enorme lascito del divulgatore scientifico e che ha consentito a oltre 70mila persone di beneficiare di un trapianto ottenendo una nuova speranza di vita.

Era il 14 novembre 1971 quando Brumat fondava a Bergamo la sua associazione impressionato dalla sofferenza dei pazienti in dialisi. Oggi, la provincia conta quasi 80mila iscritti e più di 120 gruppi comunali attivi che promuovono la cultura della donazione nelle scuole e nella sensibilizzazione. Brumat stesso ha partecipato a più di 3000 conferenze in università, scuole e club privati, a trasmissioni tv e incontri pubblici.

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