«A 22 anni in Olanda progetto auto da corsa a idrogeno»

BERGAMO SENZA CONFINI. La storia di Cecilia Calegari, 22 anni, di Mozzo. Studi al Politecnico e pratica in campo, oggi è Fuel cell engineer alla «Forze Hydrogen Racing». «Team pronto a battere i 300 km/h con zero emissioni»

Da Mozzo all’Olanda per progettare auto da corsa alimentate a idrogeno. La 22enne Cecilia Calegari sta vivendo un’esperienza unica, affiancando il percorso universitario al Politecnico di Milano alla pratica sul campo. Con la matematica nel dna (anche il padre è laureato in Ingegneria elettronica, ndr) dopo cinque anni alla Montessori e le medie alla scuola musicale di Curno, decide però di optare per il liceo classico Sarpi. «I miei insegnanti, ricordo in particolare il maestro Alessandro, mi hanno sempre incoraggiato a essere autonoma e responsabile, trasmettendomi il piacere della scoperta e della conoscenza – fa presente Cecilia Calegari -. Sapevo che mi piaceva molto il mondo dei numeri e la matematica, ma ho deciso comunque di iscrivermi al Sarpi dato che amavo la lettura e a 14 anni non sapevo bene cosa avrei fatto nel mio futuro».

Cosa l’ha portata a tornare sulle materie prettamente scientifiche?

«Il liceo mi ha dato una buona cultura di base e i mezzi per affrontare l’università, crescendo in me la passione per il volo e l’esplorazione spaziale. Ho poi scelto di iscrivermi alla facoltà di Ingegneria aerospaziale del Politecnico di Milano dove le capacità di impegno, ragionamento e analisi che mi hanno lasciato gli studi umanistici mi hanno aiutata a superare ogni difficoltà con applicazione e determinazione. Non ho dubbi che rifarei la stessa scelta».

Durante gli studi si è aperta l’opportunità di vivere in altri Paesi.

«In questo sono stata sempre incoraggiata anche dalla mia famiglia, composta dai miei, una sorella piccola, una gemella e tanti cugini. Già ai tempi del liceo ho frequentato il quarto anno alla Sutton Park School di Dublino, esperienza che reputo molto positiva non solo per la possibilità di conoscere nuovi approcci e prospettive, ma anche perché mi ha permesso di crescere molto e acquisire più autonomia e indipendenza. Al momento di scegliere l’università, a differenza della mia gemella Rosa che è subito partita per l’Olanda, dove sta per laurearsi in Matematica applicata – ho scelto di iscrivermi al Politecnico di Milano dove si è laureato anche mio padre in Ingegneria elettronica 30 anni fa e una delle migliori al mondo dove studiare Ingegneria aerospaziale. Ho vissuto a Milano per due anni e tornerò nel capoluogo meneghino il prossimo autunno per frequentare il biennio di laurea magistrale».

Dopo la triennale ha però deciso di intraprendere un percorso diverso rispetto a molti suoi colleghi.

«Esattamente. Non ho cominciato subito con la magistrale perché volevo mettermi alla prova applicando nella pratica un po’ delle molte nozioni teoriche apprese al Politecnico, in un campo innovativo che approfondisse tecnologie all’avanguardia per quanto riguarda la sostenibilità per il pianeta. Per questo, dopo averne sentito parlare, quando sono andata a trovare mia sorella in Olanda, sono stata ammessa come Fuel cell engineer alla squadra olandese “Forze hydrogen racing”, un team di universitari e neolaureati che, grazie ai collegamenti con l’ambiente universitario della «TU Delft» e alla sponsorizzazione di importanti gruppi industriali dell’energia, da anni porta avanti la ricerca per la costruzione di prototipi di automobili da corsa con propulsione a idrogeno, che invece di generare gas di scarico espellono semplicemente vapore acqueo. “Forze” sta infatti per “Formula Zero”, per indicare zero emissioni nocive all’ambiente».

Cosa l’ha affascinata in particolare di questo progetto?

«Nonostante siamo tutti studenti, grazie al sostegno di diversi sponsor, abbiamo la possibilità di sviluppare questa tecnologia in un ambito in cui non ha trovato mai applicazioni prima, come le macchine da corsa. Per ora la nostra squadra è unica nel suo genere e la “Forze VIII” (il vecchio prototipo) detiene il record di lap time per un’auto elettrica al circuito olandese di F1 di Zandvoort, mentre quella su cui stiamo lavorando ora, la “Forze IX”, sarà sicuramente in grado di battere con la sua velocità massima di 300 km/h».

Qual è l’obiettivo finale del progetto?

«Mostrare al pubblico le possibilità della tecnologia verde e promuovere la sostenibilità, gareggiando contro altre macchine da corsa a combustione interna, oltre che a formare le competenze di tutti i membri della squadra. Questa attività è stata molto impegnativa perché mi ha richiesto una notevole forze di volontà per impegnarmi sempre al massimo con flessibilità e dinamismo per imparare il più in fretta possibile».

Cosa l’ha appassionata in maniera particolare?

«Mi ha consentito di mettermi alla prova in un ciclo produttivo reale e concreto pur mantenendo l’attività un forte carattere di ricerca per l’innovazione. Ho lavorato con giovani stranieri e frequentato ambienti molto stimolanti, come la recente Fiera internazionale dell’Idrogeno tenutasi a Piacenza nello scorso maggio, dove abbiamo esposto la nostra automobile a idrogeno ottenendo grande interesse degli operatori del settore».

Come rovescio della medaglia, vivere all’estero ha comportato la lontananza dalla sua casa e dai suoi familiari.

«Certamente ha fruttato molti stimoli ma anche alcune rinunce. Le mie esperienze di studio e lavoro all’estero si sono finora svolte in Irlanda e in Olanda, nei confini europei, e ormai muoversi all’interno dell’Europa, grazie allo sviluppo della mobilità, è diventato molto semplice, per cui posso facilmente tornare a casa dalla mia famiglia e dai miei amici senza tagliare completamente i ponti con la mia terra. In Olanda vivo con altri ragazzi e ragazze dai quali ho ricevuto un’accoglienza davvero calorosa, e non ho alcun problema nemmeno a praticare sport, dato che intorno all’università sono nate moltissime associazioni per le attività più comuni, come calcio o pallavolo, come ultimamente il frisbee, ma ho anche sfruttato la vicinanza del mare per fare surf».

«Le mie passioni in Italia mi portavano verso il cielo e verso le vette, che ho nel cuore fin da piccolissime andavamo con nostro padre a camminare e sciare sulle Orobie. Le montagne sono ciò di cui ho maggior nostalgia in Olanda, dove il punto più alto raggiungibile è la cima della torre della chiesa e posso al massimo far arrampicata nelle palestre di bouldering, niente a confronto con le bellissime gite di scialpinismo o il trekking verso i rifugi orobici».

Quali sono i suoi sogni per il futuro?

«Il cielo finora l’ho sperimentato soltanto nei panorami montani e nei voli aerei e anche in un lancio in paracadute ma in futuro vorrei andare oltre, specializzandomi in Ingegneria spaziale e partecipando a futuri progetti di esplorazione dello spazio. Questo potrebbe portarmi ancora a vivere e lavorare fuori dall’Italia, opportunità che accoglierei molto volentieri. Ora come ora il mio sogno sarebbe poter lavorare all’Esa, l’Agenzia spaziale europea, ma sono aperta ad andare ovunque mi si presenteranno opportunità stimolanti senza mai abbandonare completamente i luoghi e la gente da cui provengo».

Bergamo senza confini

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