A Bergen coordina
un progetto
sull’asilo politico
con 11 atenei

C’è chi decide di cambiare vita per dare uno scossone a quella che ha, chi lo fa per necessità e chi per scelta quasi automatica, soprattutto quando a muoverla è il desiderio di crescere professionalmente, di mettersi alla prova, di non annoiarsi mai. Dario Mazzola, filosofo politico di 31 anni con un bagaglio già colmo di esperienze, ha optato per quella «scelta automatica» che da Bergamo lo ha portato a Bergen, nel sud-ovest della Norvegia.

Un salto a nord nelle vesti di ricercatore, dopo aver conseguito una laurea a Pavia e un dottorato all’Università degli Studi di Milano. «Ho deciso di fare il salto nel gennaio 2020, appena prima che si scatenasse la pandemia. Insegnavo Scienze umane all’istituto Betty Ambiveri di Presezzo, collaboravo con la cattedra di Filosofia morale e dei Legami sociali all’Università degli Studi di Bergamo e tenevo corsi all’Istituto teologico Laurentianum di Milano, ma ero sempre alla ricerca di un incarico “postdoc”– racconta Dario –. Prima che mi arrivasse la chiamata dall’università norvegese stavo valutando di candidarmi per una posizione di un anno a Bologna. A Bergen ho trovato un contratto di 4 anni, grandi responsabilità e un lavoro che mi coinvolge in prima persona. Studio questioni etiche e politiche legate all’immigrazione e all’asilo, contribuendo a coordinare il progetto “Protect” che abbraccia 11 università, 9 Paesi e 3 continenti».

Per Dario, nato e cresciuto in una piccola frazione di provincia (Ghiaie di Bonate Sopra), viaggiare e cambiare domicilio è diventata la normalità subito dopo la scuola superiore: prima sei mesi in Arizona per preparare la tesi di laurea, poi un anno in Svizzera durante il dottorato, dove ha conosciuto Fabiola, con la quale condivide la voglia di scoprire posti nuovi. «La mia ragazza ora lavora per l’Unhcr in Tunisia, ma la distanza non è mai stata un problema per noi, anzi: non ci annoiamo mai! Ed è stato bello passare il Natale insieme, il primo della nostra vita nel deserto – rivela Dario –. Purtroppo in questo anno a Bergen non siamo riusciti a vederci come avremmo voluto, ma ci siamo tolti qualche sfizio da viaggiatori prima dello scoppio della pandemia: la crociera nel fiordo, un salto alla casa di Grieg per un concerto, il giro per musei a cercare i Munch… Giusto un assaggio di normalità norvegese che speriamo di riprendere al più presto».

I primi mesi all’estero di Dario sono coincisi proprio con gli istanti di smarrimento e paura che hanno afflitto Bergamo. «Il disastro che è avvenuto nella nostra provincia è stato davvero surreale. Ero a Bergen dall’inizio del 2020 e da casa ricevevo solo notizie allarmanti. Mi sentivo impotente e provavo perfino imbarazzo di fronte a chi mi chiedeva cosa stesse succedendo nella mia città. Non riuscivo a comprenderlo nemmeno io – rivela il giovane bergamasco –. Il non esserci stato in quel momento cruciale e doloroso mi fa sentire un po’ estraniato: quando sono partito speravo che Bergamo diventasse famosa per i successi dell’Atalanta. Purtroppo c’è stata questa tragedia, ma sono certo che i bergamaschi saranno capaci di rimettere in sesto quel gioiello che è la nostra terra per restituirlo al mondo».

Lo smarrimento iniziale, accentuato dalle chiusure e dalle restrizioni attive anche in Norvegia, non ha scoraggiato Dario, che è stato accompagnato da colleghi e amici nella nuova avventura lontano da casa. «Ho apprezzato molto l’aiuto e la cura che tutti hanno mostrato nei miei confronti, compreso il capo dipartimento dell’Università di Bergen che spesso mi scriveva per chiedermi come stavo – racconta emozionato Dario –. Nonostante nella cultura norvegese le emozioni siano molto controllate, talvolta represse, solidarietà e tolleranza, educazione e gentilezza sono alla base delle relazioni sociali. Sarò sempre grato per l’accoglienza che mi è stata riservata e che ha attenuato la nostalgia della mia famiglia e del mio paese». Dario ricorda quella volta in cui, prendendo il caffè con un’amica, ha pensato a quanto l’Italia e Bergamo fossero perfetti nei loro limiti e difetti. «Ce lo dicevamo mangiando paste buonissime, nel verde di un giardino, godendoci il sole dell’estate italiana e la calma del nostro paesello tanto minuscolo quanto vivo. Nessuna di queste cose è scontata ed ora, guardando tutto da lontano, lo capisco ancora di più – specifica Dario –. Qui mi trovo benissimo, ma sono davvero in un altro mondo: l’ho intuito quando ho dovuto indossare i ramponi d’acciaio per raggiungere a piedi l’ufficio!».

Bergen è la seconda città norvegese, la più continentale, posto ideale per famiglie e persone tranquille, ma popolata da stranieri di ogni nazionalità. «Qui si fanno sei piccoli pasti giornalieri in cui si mangiano sempre le stesse cose. Il pranzo di lavoro non dura più di mezz’ora e di solito è un sandwich deglutito con l’orologio sotto gli occhi – racconta il bergamasco –. Alle 16 al massimo la giornata lavorativa finisce e i norvegesi si godono la seconda vita, quella personale e privata, che è sacra ed ermeticamente isolata dal lavoro. Anche io mi sono adeguato a questi ritmi così diversi dai nostri: dopo il lavoro mi concedo una passeggiata o un po’ di palestra, ma a differenza dei norvegesi poi rientro in ufficio e ci resto fino a cena. Cerco di concentrare quanto più lavoro possibile così da avere più tempo libero per viaggiare e scoprire posti nuovi».

Dopo questo primo anno surreale, Dario ha grandi aspettative per i prossimi tre in programma a Bergen. «Difficile dire dove sarò in futuro. Ritrovarmi in Norvegia è stata una sorpresa anche per me e così potrebbe essere per la prossima meta – conclude –. Sono pronto ad adattarmi per raggiungere i miei obiettivi in quest’epoca così strana e bizzarra. Grazie al cielo per ora ce la sto facendo e sono fiero di me».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della comunità bergamasca onlus. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per un anno l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].

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