Mattia Agazzi, stella Michelin all’Osteria Gucci di Los Angeles

La storia Da Alzano Lombardo agli Stati Uniti, a 32 anni conquista il prestigioso riconoscimento. Chef acclamato nel ristorante di Bottura e Bizzarri.

Da Bergamo a Los Angeles per conquistare un posto nell’Olimpo della ristorazione. Il 32 enne Mattia Agazzi, originario di Alzano Lombardo, è riuscito a entrare nel firmamento dei migliori chef del mondo. A ottobre 2021 il giovane bergamasco ha infatti conquistato la Stella Michelin all’Osteria Gucci di Beverly Hills. Mattia rappresenta una generazioni di cittadini del mondo, in grado di muoversi agevolmente e con disinvoltura tra esperienze di studio e di lavoro all’estero. Bergamo è da sempre terra di migranti, gente che ha saputo farsi apprezzare in Italia e nel resto del mondo per lo spirito di adattamento e iniziativa, la caparbietà, la laboriosità e la generosità. «Sono qualità che, da buon bergamasco, porto fiero nel mio dna e per certi versi mi hanno aiutato a instaurare ottimi rapporti con tante persone che ho conosciuto e incontrato in questi anni».

Come è iniziata la sua avventura ai fornelli?

«Dopo le scuole medie, mi sono iscritto all’istituto Ipssar Alfredo Sonzogni di Nembro. Devo ringraziare I docenti e il professor Ivan Dossi che ha notato le mie potenzialità e mi ha instradato in un percorso di crescita con importanti esperienze tra i grandi chef di Bergamo».

Ed è proprio durante questi stage che Mattia conosce importanti protagonisti della cucina come i fratelli Cerea del ristorante Da Vittorio ed Ezio Gritti dell’Osteria di via Solata in Città Alta.

«Proprio Ezio Gritti mi ha proposto il primo lavoro e in via Solata mi sono reso conto di quanto fosse duro il mestiere del cuoco, tra fatica fisica, orari infiniti, festività al lavoro e amici sempre più difficili da frequentare. Nei primi anni di lavoro ho imparato due regole fondamentali per superare fatica e stress: la prima è che il cuoco deve amare davvero e mettere tanta passione in quello che fa, mentre la seconda, non meno importante, è avere uno staff di cucina coeso e sereno, per fare squadra, dove ci sia rispetto, stima, condivisione di intenti».

Raggiungere grandi risultati ha comportato anche importanti sacrifici...

«La ristorazione ha richiesto una dedizione totale, tanto che ho deciso di appendere al chiodo la mia amata bicicletta da corsa e chiudere definitivamente con il ciclismo, sport altrettanto impegnativo che fino al diploma ero riuscito a praticare con discreti risultati fino alla categoria dei dilettanti».

Come è proseguito il suo percorso lavorativo?

«Dopo l’esperienza all’Osteria di via Solata ho lavorato Da Vittorio con i fratelli Cerea e lo chef Paolo Rota, per poi passare al Cappello d’Oro con Chicco Coria. Sono cresciuto assaporando e cucinando i piatti simbolo della mia città, come la polenta e i casoncelli, cucinati in modo tradizionale o rivisitati: un patrimonio non solo gastronomico ma anche culturale di Bergamo, capace di riunire a tavola le nostre famiglie».

Poi, a un certo punto, decide di partire per affinare le sue esperienze all’estero?

«Esatto, volevo andare oltreconfine, ma prima non ho potuto rinunciare a due grandi opportunità di crescita professionale che mi sono state offerte da due chef stellati come Graziano Prest del ristorante Tivoli di Cortina d’Ampezzo e Norbert Niederkofler del “St. Hubertus” di San Cassiano, dove ho imparato a utilizzare erbe, frutti, bacche, radici e tutto quello che cresce in montagna per dare sapori unici alle ricette. Proprio in Alto Adige mi sono appassionato al «foraging», che punta alla ricerca di cibo vegetale spontaneo, camminando ed esplorando il sottobosco montano fino a praticare l’arrampicata libera per raggiungere l’obiettivo».

Poi arriva il momento di partire per altri lidi.

«Era indispensabile andare all’estero per proseguire la mia crescita e così ho contattato Massimo Fabretti, allora direttore dell’associazione Ente Bergamaschi nel Mondo, che ha preso particolarmente a cuore il mio progetto. Si tratta di una realtà che vanta molta esperienza e supporta a 360 gradi, tramite circoli, delegazioni e associati, i bergamaschi che vanno all’estero per studio o lavoro. A Londra, durante la permanenza al ristorante Joel Robuchon con lo chef Xavier, ho conosciuto il presidente del circolo londinese Radames Bonaccorsi Ravelli, persona squisita con cui ho fatto amicizia. Mi ha invitato a numerosi incontri con altri concittadini che vivono da anni in Inghilterra, per non dimenticare la nostra bergamaschità. Una delle esperienze importanti per la mia formazione l’ho maturata al ristorante esclusivamente vegetariano Yellow a Sidney dove con Brent Savage ho esplorato tutte le possibilità creative offerte dalle verdure».

Dopodiché ha l’opportunità di rientrare in Italia.

«Esatto, grazie allo chef pluristellato Massimo Bottura, che rimane favorevolmente colpito dal curriculum e dopo un breve colloquio mi assume nel suo entourage. Grazie all’interessamento di Bottura ho avuto l’opportunità di fare un’esperienza professionale veramente unica con lo chef storico del Plaza Athénée di Parigi, Alain Ducasse, guidata dallo chef Romain Meder. La svolta nella mia carriera arriva quando Massimo Bottura e Marco Bizzarri, ceo di Gucci, decidono di realizzare insieme un progetto per sancire e valorizzare le affinità tra le due rinomate eccellenze italiane che loro rappresentano: l’arte culinaria e l’alta moda. E così aprono il ristorante l’Osteria Gucci by Bottura nel palazzo Gucci di Firenze. Lo chef modenese ha creduto nelle mie potenzialità tanto da chiamarmi come sous-chef nel suo staff. Per due anni Bottura e la chef Karime Lopez mi hanno dato fiducia, lasciandomi libero di sperimentare - sotto la loro supervisione - ed esprimere la mia creatività con ricette innovative o con piatti tradizionali rivisitati. Così, quando Gucci e Bottura decidono di esportare il modello dell’Osteria da Firenze a Los Angeles, mi è stata affidata la responsabilità di chef».

Un’esperienza che l’ha portata nell’olimpo della ristorazione, grazie alla conquista della Stella Michelin.

«Abbiamo aperto nei primi mesi del 2020, proprio all’inizio della pandemia, e il primo anno è stato decisamente difficile, trascorso fra aperture e chiusure che non hanno permesso di lavorare con continuità. Proprio in questa situazione di emergenza è venuta a galla la generosità bergamasca: ho deciso di utilizzare il tempo libero a disposizione cucinando in una mensa per senzatetto di Los Angeles. Nel 2021 siamo riusciti a superare le difficoltà ingranando la marcia giusta. Abbiamo raccolto recensioni molto positive e articoli molto lusinghieri sui giornali specializzati. Insieme ai consensi e al pubblico crescente è arrivata a ottobre anche la Stella Michelin, a coronamento di tanti sacrifici. Sono convinto che i risultati si possono raggiungere solo con una buona organizzazione e con un gruppo di persone affiatate e di qualità, quindi condivido questo premio con tutto lo staff. Ringrazio tutti, a cominciare da chi ha ideato e poi supportato questo progetto, Marco Bizzarri ceo di Gucci e Massimo Bottura, la brigata di cucina e in particolare la sous-chef Vanessa Chiu e la pastry chef Tamara Rigo».

Tenuto conto della sua esperienza, cosa si aspetta dal futuro della ristorazione, una volta archiviata la pandemia?

«La gente avrà voglia di cose nuove in tutti i settori, in modo da aiutare a dimenticare questo periodo terribile. I gusti delle persone sono in continua evoluzione e per rimanere ad alti livelli dobbiamo anticipare i tempi e capire come accontentare i nostri clienti».

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