Oratorio, studio e pallone: l’amicizia con Morosini, il salto a Barcellona

«Mi presento. Mi chiamo Giuseppe Vailati, Beppe per gli amici. Sono di Bergamo, zona stadio, dove ho vissuto fin da bambino. La mia storia è un po’ particolare, forse qualcuno la conoscerà, o perché ha condiviso un tratto di cammino con me o magari per aver letto il mio libro su Piermario Morosini: “Mario, gioca semplice!”». Beppe ha appena compiuto 36 anni, «il tempo passa» dice, e oggi vive a Barcellona. Ma la strada per arrivarci non è stata diritta, anzi. Da bambino, racconta che giocava a pallone all’oratorio di Monterosso, «poi da adolescente nelle giovanili dell’Alzano Virescit, mentre studiavo al liceo Sant’Alessandro di Bergamo, una scuola che mi ha dato molto più di quanto possa comprendere. Dopo la maturità del 2004, mi sono iscritto alla facoltà di Filosofia, alla Cattolica di Milano: furono per me anni di grande sogno ma anche di crisi profonda. Decisi di entrare in seminario, proprio a Bergamo, dove ho avuto la fortuna di crescere spiritualmente, intellettualmente ma soprattutto di stringere grandi amicizie che durano ancora oggi».

Giunto alla quarta teologia, nel 2015, Beppe decise di abbandonare il cammino verso il sacerdozio e imboccare una nuova strada. «Grazie al profondo discernimento, aiutato dalle mie guide di allora, e a un percorso sul Cammino di Santiago de Compostela, lasciai il seminario e presi il largo verso Barcellona. Nella città catalana ho conosciuto la mia fidanzata, María Paula, Mapa per gli amici. Lei colombiana e io italiano, siamo insieme da ormai più di sei anni e il prossimo giugno ci sposeremo. Dove? Proprio qua, a Barcellona, più precisamente nella cripta della Sagrada Familia, simbolo della città e dell’amore». Ma non c’è da preoccuparsi, ci saranno anche due belle feste, una a Bogotà e l’altra a Bergamo».

«Questo per me è il quarto anno di insegnamento presso la scuola italiana di Barcellona: non ne avevo idea (come molti del resto), ma il governo italiano ha molte scuole sparse per il mondo per permettere ai figli degli emigrati di mantenere la nostra istruzione. Insegno religione alle medie ed è davvero bello. Sembra una “Little Italy”, dal momento che sono a contatto con persone provenienti da tutta Italia e addirittura con discendenti di migranti del periodo bellico. Lo stesso posso dire della comunità cristiana, frutto di Migrantes, capitanata da don Luigi Usubelli, missionario selvinese, una persona che stimo moltissimo». Ora Beppe è ambientato, si sente a casa a Barcellona, ma all’inizio non è stato facile. «Pur avendo io già qualche contatto mi dovetti adattare a fare le fatture in un’azienda di Milano (Italdibipack) che vende macchine per l’imballaggio in Spagna e in cui lavoro tutt’oggi. Posso dire di aver fatto la gavetta: da magazziniere (con tanto di patente per il muletto, io, filosofo!) fino a occupare un ruolo più di gestione (oggi mi occupo di amministrazione, contabilità, relazioni coi clienti e coordino la nostra piccola filiale con la casa madre)».

«Da quando sono arrivato, cerco di mantenere qualche contatto con i bergamaschi “nel mondo” che vivono qua, anche se onestamente ciascuno ha il suo giro (molto importante per me e per il mio ambientamento è stato il ruolo dell’Ente Bergamaschi nel mondo). Chi viene a Barcellona può integrarsi facilmente, benché non sia scontato. La fatica più grande è stata quella di costruire legami significativi e profondi, vuoi per l’età, vuoi per il tempo che dedichi alle relazioni che non è mai abbastanza. Però, con il passare dei mesi e un po’ di dinamismo ce la si fa. Sono tanti italiani ma anche tanti stranieri. Più difficile è diventare amico dei catalani, non perché siano chiusi (e un po’ lo sono), ma perché loro hanno la loro vita da sempre e noi siamo gli ultimi arrivati. Però posso garantire che, una volta che ti aprono la loro casa, sei uno della famiglia: così è per la mia nonna adottiva, Marga, una signora con cui ho vissuto più di quattro anni e con cui stiamo condividendo Natali, feste, matrimoni e anche la quotidianità». Dell’Italia ha talvolta nostalgia degli affetti più significativi, quelli della famiglia e degli amici. «Quando chiami casa e tua mamma è a pranzo con gli zii e la cugina, una lacrimuccia ti scende perché vorresti essere lì. Certo è che il non poter vivere quotidianamente certe esperienze “normali”, ti porta a valorizzarle moltissimo e a goderne appieno una volta rientrato per le vacanze. Devo anche confessare che Barcellona-Bergamo in aereo è molto economico e rapido; pensate quando dobbiamo andare in Colombia! Quando torno non vedo l’ora di riabbracciare la mia famiglia e i miei amici, molti dei quali, negli anni, si sono dimostrati ancor più veri. La lontananza prova e rafforza le relazioni, le “screma” e le “invera”: si impara che il tempo condiviso è fondamentale, ma che non deve necessariamente essere molto».

La vita, poi, a Barcellona «è molto simile a quella di Bergamo, se non fosse per le dimensioni della città (meno grande di quel che sembra), per il clima migliore e per il mare. Il mare dà colore, profondità, apertura. Barcellona è un porto, un via vai di gente di tutto il mondo, soprattutto di giovani. È una città storicamente tollerante ma anche piena di contraddizioni, da quelle politiche a quelle religiose. Il business del turismo la sta svuotando lentamente della sua anima, ma è bello passeggiare per le vie del “barrio” e incontrare la parrucchiera stile Almodóvar, la signora anziana che fa apprezzamenti estetici al tuo cane anche se non se li meriterebbe, la gente che ti apprezza per il solo fatto di essere italiano». Gli spagnoli, così come i sudamericani, spiega Beppe «apprezzano molto gli italiani: i primi ci chiamano “primos hermanos” (cugini), mentre i secondi spesso e volentieri hanno qualche antenato emigrato dall’Italia. E poi adorano il nostro cibo, la nostra lingua, il calcio, ma soprattutto le nostre città, dove quasi tutti hanno passato almeno un’estate della loro vita. Amano l’Italia, anche perché la situazione socio-politica italiana non è che sia peggiore della loro, in particolare per i sudamericani. Noi ci lamentiamo ma uscendo dallo “scarpone” apri gli occhi e impari a valorizzare uno stile di vita che non tutti hanno».

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