Il ritorno del realismo politico
e del dialogo

Un miracolo da Covid o una presa d’atto del realismo politico? È solo una domanda e nasce dal voto quasi unanime del Parlamento sullo scostamento di bilancio di otto miliardi, in cui per la prima volta le opposizioni hanno votato con la maggioranza. S’è riscoperto un metodo, dialogo e leale collaborazione, su cui il presidente Mattarella ha insistito più volte. La sessione di bilancio è diventata un capitolo nuovo nella storia della maggioranza con il disgelo tra Forza Italia e Pd e persino, a quanto pare, con i grillini in via di ripensamento. L’ultima settimana, quindi, ha modificato la mappa politica?

La novità è il ritorno in campo di Berlusconi, che s’intesta una rivincita personale dopo gli anni della penitenza e del pubblico ludibrio. Ha scartato a lato rispetto a Salvini, e poi la zampata da vecchia volpe in quel «teatrino della politica» che ha sempre disprezzato, ma in cui continua a muoversi con maestria: l’ex Cav. nero per il centrosinistra è oggi il resuscitato sotto nuove spoglie, quale responsabile ed europeista dell’altra parte del campo di gioco. Nel Pd speravano in un divorzio fra Berlusconi e Salvini, cosa non avvenuta. In ogni caso, l’artefice esclusivo della marcia di avvicinamento al governo resta il leader di Forza Italia, riuscito a portare con sé nel sostegno all’esecutivo Salvini e la Meloni. In un’Italia dal sistema parlamentare, e a maggior ragione se la prossima legge elettorale sarà proporzionale, anche una Forza Italia ai minimi del consenso può sfruttare la propria forza «a margine»: decisiva nel destra-centro e utile nel soccorso alla maggioranza.

Berlusconi, junior partner dell’opposizione, stavolta ha dato le carte e ha costretto gli alleati a rincorrerlo, inseguendo un proprio disegno che è quello di uscire dall’angolo. Salvini prima ha messo il broncio con il partner per intelligenza con il nemico (contrastando il salvataggio di Mediaset, deciso dal governo, dall’assedio francese del socio Vivendi e scippando tre parlamentari azzurri), poi ha fatto buon viso a cattiva sorte. Ha messo in campo la federazione di centrodestra: siamo alle premesse e non andremmo oltre, pur ricordando che il Capitano sa quel che fa e non è uno sprovveduto. L’impressione è che lo stacco di Berlusconi sia direttamente proporzionale all’esaurirsi della prospettiva strategica di Salvini: la permanenza di Trump alla Casa Bianca non è avvenuta, l’implosione dell’Europa non c’è stata.

La contiguità di Berlusconi alla maggioranza, sempre che non sia uno scambio agile sulla questione Mediaset, va vista nell’emergenza economica: sia per correggere alcuni aspetti del decreto Ristori sia per avere una copertura politica delle categorie produttive afflitte dalle restrizioni. Ma più in generale, e in linea teorica, mettere in campo un debito pari a 25 punti di Pil e attuare un piano di riforme finanziate dall’Europa significa superare i tempi dell’attuale legislatura e il contributo di tutte le forze politiche diventerebbe quindi indispensabile.

Il voto delle opposizioni sullo scostamento ha un perimetro fin qui obbligato, perché resta la distinzione fra i due poli. Altra cosa sarebbe sul discusso Mes o sulla legge di bilancio: in quel caso l’appoggio esterno di FI, se risultasse determinante, avrebbe un significato politico. Il governo, quanto a numeri, ha una navigazione relativamente tranquilla: il rimpasto per ora è stoppato, non ci sono alternative a questo ministero, nessuno vuole le elezioni. Però la maggioranza al Senato (citiamo openpolis.it) non è autosufficiente e si regge sull’appoggio garantito del gruppo Per le autonomie e del Gruppo misto. Inoltre, si può sempre giocare sulle assenze dei senatori che di volta in volta abbassano la soglia richiesta per approvare i provvedimenti: da inizio legislatura i cambi di gruppi sono stati 140, con una media di 4,41 al mese. I grillini hanno perso 43 parlamentari, il Pd 37 (scissione di Renzi) e Forza Italia 22 transfughi.

L’impatto sul centrosinistra del riposizionamento berlusconiano è a geometria variabile. Il Pd lo può giocare nei lavori in corso di svuotamento dell’ortodossia grillina e nel farlo valere in quella che appare come una dura offensiva contro il premier, accusato di essersi asserragliato nella solitudine di palazzo Chigi. Quel Conte che, tuttavia, è un singolare impasto di debolezze e forze crescenti: il suo essere apolide politicamente, figlio di nessuno e partorito da tutti, e oggi esperto in curve pericolose, al dunque gli consente il vantaggio competitivo deciso dalla propria individualità. Lo assolve dal non avere un passato e può garantirgli un futuro, cioè una lista propria. Il premier che, sfidando l’impopolarità, ha scelto comunque prima di tutto la tutela della salute individuale e pubblica.

I grillini sul Mes ingoieranno il rospo, lo voteranno, o saranno costretti a riabilitare il Cav che sosterrà il fondo per la sanità? Siamo ancora in tempo a capire che il puzzle di un ipotetico cambio di maggioranza sarà lungo e non lineare, e chissà se voluto o obbligato. Quel che si vede oggi potrebbe essere smentito subito dopo, perché i vari accampamenti si stanno adeguando alla madre di tutte le battaglie: il voto per il Quirinale che, come sempre, deciderà vincitori e vinti. Un po’ di burro e un po’ di cannoni.

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