Carovita, una famiglia su tre taglia sul cibo

I DATI ISTAT . L’inflazione rallenta, ma il carrello alimentare continua a correre (+2,5%). Costi extra per 423 euro l’anno.

No, i prezzi della spesa non calano. Continuano a crescere, ma «solo» a velocità ora più lenta. E così, da quando la spirale inflazionistica s’è infiammata nel 2022, le famiglie hanno adeguato le proprie abitudini per risparmiare. Succede anche a Bergamo, e il punto di partenza è nel costo della vita. Gli ultimi dati provinciali dell’Istat, riferiti alla situazione di settembre, mostrano che l’indice generale dei prezzi su base annua si attesta al +1,4%: vero, nei mesi scorsi era più alto (ad agosto era al +1,5%, a giugno era al +2%), ma l’evidenza tendenziale è che un poco alla volta la «corsa» degli aumenti prosegue comunque al rialzo. Il «segno meno», infatti, ancora non si vede.

Soprattutto restano sopra la media i «prodotti alimentari e le bevande analcoliche», la voce specifica che dà conto della spesa delle famiglie: in questo caso l’inflazione annua è al +2,5%, con una vera e propria «fiammata» per le bevande analcoliche (una sottocategoria che viaggia al +8,9%). E se si mettono a sistema tutte le uscite che vanno a formare il bilancio familiare, il salasso resta consistente: secondo i consueti calcoli dell’Unione nazionale consumatori, in Bergamasca l’inflazione annua per una famiglia media si traduce in extra-costi per 423 euro; è il 27° impatto più alto tra le province italiane (in testa c’è Siena con +784 euro), la magra consolazione è che nei mesi scorsi Bergamo si piazzava invece nella top ten di questa non piacevole classifica.

Le nuove abitudini degli italiani

Di fronte a una «febbre» inflattiva che si trascina ormai da oltre tre anni, l’approccio dei consumatori verso i beni alimentari sta mutando profondamente: proprio a inizio mese, un’analisi dell’Istat ha calcolato che nel 2024, così come già nel 2023, circa un terzo delle famiglie ha ridotto la spesa alimentare. Lo rileva, in chiave locale, anche chi sta dall’altra parte del «bancone», e cioè i commercianti.

Lo slittamento verso i discount

«È in corso da tempo uno slittamento verso i discount e lo ribadisce anche l’andamento delle nuove aperture – ragiona Oscar Fusini, direttore di Confcommercio Bergamo –, mentre l’altro aspetto consolidato è il passaggio dal prodotto di marchio alla marca d’insegna (cioè i prodotti a marchio del supermercato, ndr), che costano nettamente di meno a fronte di una qualità lievemente inferiore».

Insomma, «la gente si sta riposizionando – aggiunge Fusini –. È vero che ora la crescita dei prezzi sta rallentando, ma il vero problema è che non si è tornati indietro rispetto al 2022, e verosimilmente non succederà neanche in futuro. Gli aumenti dei prezzi sono stati acquisiti in tutte le filiere». Per alcune categorie merceologiche, tra l’altro, le filiere – dalla produzione alla vendita – sono parecchio lunghe: «In qualche segmento c’è sicuramente qualcuno che in questi incrementi ha guadagnato molto – riconosce Fusini –. Dubito però che il guadagno sia in capo a chi fa vendita al dettaglio: ormai il margine di azione sul prezzo è limitato anche per il commerciante, che è vittima di questo meccanismo tanto quanto i consumatori».

«Un quadro preoccupante»

Filippo Caselli, direttore di Confesercenti Bergamo, rilegge i dati dell’Istat e nota «la conferma di un quadro preoccupante: le famiglie a reddito medio e basso stanno riducendo non solo la quantità ma anche la qualità dei propri consumi, soprattutto alimentari». D’altronde, «dopo anni d’inflazione il potere d’acquisto non è stato recuperato e la spesa reale continua a calare – continua Caselli –: le nostre stime indicano un -11% rispetto al 2019, pari a oltre 3.000 euro in meno l’anno per nucleo. È un disagio diffuso, che colpisce in particolare il Mezzogiorno e i redditi più fragili». Si fa fatica anche al Nord, e il tema di fondo è nella capacità economica delle famiglie: «Serve una riforma fiscale che liberi risorse e ridia respiro ai consumi – rimarca Caselli –, con tagli percepibili per le famiglie, perché senza domanda interna non c’è crescita né per il Paese né per le imprese del commercio e dei servizi».

Peraltro, sono proprio i nuclei meno abbienti a patire maggiormente l’inflazione, perché in questa fascia di popolazione la spesa alimentare incide maggiormente sul budget familiare: «L’accelerazione dei prezzi dei beni alimentari ha un impatto relativamente più marcato per le famiglie con livelli di spesa più basso – segnala l’Istat –, in virtù del maggior peso che questi prodotti hanno nel loro bilancio».

Le altre voci

L’ultima fotografia dell’Istat restituisce una bussola aggiornata del carovita. Alcuni aspetti della vita quotidiana vedono aumenti addirittura peggiori: sempre su scala orobica, i pacchetti vacanza volano al +7,5% annuo, gli affitti reali al +4,8%, i libri e gli articoli di cartoleria al +3,9%, le assicurazioni al +3,9%, le riparazioni e la manutenzione della casa al +3,6%. C’è qualcosa che diventa più abbordabile? Sì: i prezzi degli «apparecchi telefonici» sono scesi del 13,3% nell’ultimo anno, gli «apparecchi audiovisivi, fotografici e informatici» segnano un -6%, gli elettrodomestici un -1,7%.

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