Lavoro, dimissioni quasi raddoppiate in meno di dieci anni

LA RICERCA. Allarme della Cisl sul diffuso fenomeno degli addii al lavoro, ben 566mila in Lombardia solo nel 2022. Nella Bergamasca numeri quasi raddoppiati in meno di un decennio. Sei lavoratori su 10 avevano un’alternativa. Corna: «Le imprese offrano maggiori motivazioni».

Il flusso è ininterrotto e pare non arrestarsi più. In Italia il fenomeno delle dimissioni, continua a crescere e le motivazioni, che fino a qualche anno fa erano sempre riconducibili a poche cause certe, ora diventano molto più trasversali e variegate. Questo il senso della ricerca presentata ieri da Cisl Lombardia a Milano denominata «Dentro l’epoca della Great resignation – I nuovi fattori di attrattività del lavoro nella società che cambia», realizzata da Bibliolavoro e Sindacare – Ufficio Vertenze Lombardia. I numeri, impressionanti, li ha elencati Enzo Mesagna, segretario generale Cisl Lombardia. «In Italia ci sono state quasi 2 milioni di dimissioni nel 2021, oltre 2,2 milioni nel 2022 con un aumento di oltre il 35% rispetto al 2019, ben 474.000 dimissioni in più, un incremento importante; per quanto riguarda la Lombardia, si sono registrate 420.000 dimissioni nel 2021 che diventano 566.000 nel 2022, circa il 12% dei lavoratori occupati, numeri che rappresentano un campanello d’allarme. La contrattazione diventa allora il naturale approdo di queste istanze. Come sindacato abbiamo quindi una grossa responsabilità: creare delle condizioni di lavoro migliori, il che significa non solo aumentare la produttività e l’efficienza aziendale, ma soprattutto restituire alle persone un luogo in cui poter ritrovare quel benessere complessivo tanto ricercato dai lavoratori e della lavoratrici che danno vita al fenomeno della great resignation». «Tante persone stanno cambiando lavoro, per cause economiche e sociali, certo, ma c’è qualcosa di più che li spinge a cercare nuove occupazioni – ha introdotto Ugo Duci, segretario generale Cisl Lombardia – Ci sono ragioni che abbiamo pensato valesse la pena indagare».

Incrociando i dati regionali Cisl di ieri, con quelli dell’Osservatorio sul Precariato della Provincia di Bergamo, si nota come anche sul nostro territorio il fenomeno sia praticamente quasi raddoppiato in meno di dieci anni, passando dalle 29.172 dimissioni del 2014, alle 54.629 del 2022 (dato sempre in forte ascesa: nel 2021 erano state 47.449), praticamente il 10% rispetto a quei 566mila a livello regionale. Infine il dato orobico sulle dimissioni sembra mostri finalmente numeri in decrescita nei primi mesi 2023 secondo l’ultimo Rapporto della Provincia sul lavoro dipendente.

Il segretario generale di Cisl Bergamo Francesco Corna, conferma: come il fenomeno sia preoccupante: «Il segnale di uno scontento molto diffuso esiste, è legato alle tipologie di produzione e alle modalità in cui vengono svolte. Chi si affaccia al mondo del lavoro oggi chiede maggiori motivazioni di un tempo, vuole essere più coinvolto: la nostra legge sulla partecipazione va proprio in questa direzione. Il giovane oggi vuole crescere, imparare e conciliare maggiormente i tempi del lavoro e quelli del suo privato. Le aziende devono capire che esiste una consapevolezza maggiore in loro, bisogna puntare sulla responsabilità delle persone, creare percorsi formativi continui, e un benessere organizzativo che tenga conto di aspetti complessivi per le persone che non vogliono mai più sentirsi un numero. Non è vero che i giovani non vogliono impegnarsi, però chiedono alle aziende di essere valorizzati prima ancora come persone e poi come lavoratori».

Il direttore di Bibliolavoro, Francesco Girolimetto ha spiegato meglio la natura della ricerca «che ha coinvolto oltre 2.000 lavoratori e lavoratrici in Lombardia che hanno rassegnato le proprie dimissioni volontarie ha messo in luce come stiano cambiando i fattori che rendono un lavoro attrattivo e soddisfacente in particolare tra giovani e meno giovani. Non sono più fattori oggettivi come la retribuzione a rendere un lavoro soddisfacente, ma ci sono fattori più soft di carattere più sociale e psicologico come l’evitare un eccessivo carico di stress lavoro-correlato o l’accesso a misure di conciliazione tra vita lavoro e vita personale. I settori più interessati sono il terziario, il commercio e le attività di ristorazione proprio dove è difficile sperimentare la conciliazione e dove i fattori di stress sono più evidenti».

Altro dato interessante della ricerca: 6 lavoratori su 10 avevano già un’alternativa quando hanno deciso di dimettersi, ma ben il 40% ha fatto un salto nel vuoto non avendo ancora una prospettiva. Un dato che solo un paio di lustri fa sarebbe stato impensabile, ma che ora dovrebbe far riflettere a lungo sulle nuove dinamiche in atto.

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