Non solo Russia-Ucraina: cresce nel mondo il rischio per l’export - Gli effetti su Bergamo

Lo scenario Col conflitto una sorta di effetto domino su scambi e commercio internazionale. Terzulli (Sace): «Prezzi materie prime alle stelle: l’onda lunga raggiungerà Usa, Asia e Africa».

La guerra in Ucraina modifica la mappa dei rischi degli scambi nel mondo e riduce le attese di crescita. «Nonostante rappresentino solo il 2% del Pil globale e del commercio internazionale, Russia e Ucraina influenzano l’economia mondiale in quanto principali fornitori di materie prime: da loro dipende il 30% dell’export globale di grano, il 20% di mais, fertilizzanti e gas naturale, l’11% di petrolio, ma anche di metalli come palladio e nickel e di gas inerti vitali per l’automotive», spiega Alessandro Terzulli, chief economist di Sace, la società italiana specializzata nel sostegno alle imprese che operano sui mercati esteri.

«Da Russia e Ucraina dipendono il 30% dell’export globale di grano, il 20% di mais, fertilizzanti e gas naturale, l’11% di petrolio, ma anche di metalli come palladio e nickel e di gas inerti vitali per l’automotive».

«Le quotazioni di queste materie prime sono alle stelle e contribuiscono all’aumento dei prezzi al consumo - continua Terzulli -. Oxford Economics stima un peggioramento dell’inflazione mondiale tra il 7,1 e l’8% nel 2022 (+1,9% e +2,8% rispetto a stime pre-conflitto), mentre il Pil globale si fermerà a +3,4% nel 2022 e +3,2% nel 2023».

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Per la Russia il Pil sarà negativo: -11%, mentre l’inflazione supererà il 23%. «A favore del Paese giocano anche il limitato debito pubblico e i rincari energetici, che compensano le minori quantità vendute - sottolinea Terzulli -. Le sanzioni, però, stanno funzionando: le riserve internazionali di Mosca, pari a 643,2 miliardi di dollari a inizio guerra, sono utilizzabili solo per il 45%». Drammatico lo scenario per l’Ucraina, dove l’indice di rischio è quasi ai massimi e nell’anno si prevede un crollo del Pil di 35 punti. Ma la guerra pesa anche sulle previsioni di crescita dell’area euro e dell’Italia, più basse rispetto a quelle elaborate prima del conflitto: rispettivamente al 2,8% e al 2,3%.

Tavolo in aiuto degli esportatori

La situazione è tale che ora Sace ha sospeso l’assunzione di nuovi rischi sull’export credit in Russia e Bielorussia, attivando un tavolo di crisi che valuta quotidianamente lo scenario per fornire supporto agli esportatori italiani. Secondo elaborazioni Sace su dati Istat, in provincia di Bergamo la Russia vale il 10,5% dell’export totale e l’Ucraina l’8,5%, mentre l’import da ognuno dei due Paesi rappresenta circa il 2%, ma riguarda materie prime importanti come i fertilizzanti, i metalli per l’automotive e il legno.

Secondo elaborazioni Sace su dati Istat, in provincia di Bergamo la Russia vale il 10,5% dell’export totale e l’Ucraina l’8,5%, mentre l’import da ognuno dei due Paesi rappresenta circa il 2%, ma riguarda materie prime importanti come i fertilizzanti, i metalli per l’automotive e il legno.

L’onda lunga del conflitto raggiunge anche gli Stati Uniti. «Nella seconda metà del 2022 si poteva sperare che l’inflazione iniziasse a mordere meno - spiega Terzulli - ma la guerra rende più difficile il rientro dei prezzi. A questo si aggiunge il dilemma sulle decisioni che prenderà la Fed sui tassi d’interesse. Sicuramente gli Usa per tutto il 2022 diventeranno un mercato importante per le imprese italiane, ma dovranno essere capaci di “raffreddare” l’economia senza andare in recessione». Il vero nodo, però, è un altro. «In un mondo post-pandemia, caratterizzato da maggiore debito, alcuni Paesi rischiano il default - paventa Terzulli - come è successo allo Sri Lanka».

Gli effetti anche su altri Paesi del mondo

In chiaroscuro la situazione in Nord Africa: se il Marocco è stabile grazie alla solidità istituzionale, alla ripresa del turismo e al rialzo dei prezzi dei fertilizzanti, non così la Tunisia, che paga lo scotto di una pesante crisi istituzionale legata a un debito elevato. Rischio politico e rischio di credito interessano anche diversi Paesi dell’America Latina, in particolare il Brasile, dove si teme una nuova impennata dell’inflazione.

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