«Partecipare all’impresa», la nuova sfida dei lavoratori

L’INTERVISTA. Il leader della Cisl bergamasca, Francesco Corna: è necessario promuovere reali forme di coinvolgimento dei dipendenti, a partire dal loro ingresso nei Cda.

La Cisl arriva all’appuntamento del Primo Maggio con una proposta di legge di iniziativa popolare che sta nella sua storia: «La partecipazione al lavoro-Per una governance d’impresa partecipata dai lavoratori», dice il titolo del progetto, una priorità strategica per il sindacato guidato da Luigi Sbarra, con l’ambizione di cambiare il modello economico. La raccolta delle firme partirà a breve (ne servono 50 mila), poi la norma (22 articoli) sarà valutata dal Parlamento. «Qui – dice il leader della Cisl bergamasca, Francesco Corna, indicando il profilo della città dalla finestra del suo ufficio – abbiamo sempre respirato in modo intenso l’aria della cultura del lavoro e della partecipazione. Ora si tratta di fare un ulteriore passo avanti e metterla a sistema».

Segretario Corna, non siamo comunque all’anno zero.

«Il riferimento storicamente più importante resta il modello tedesco o renano. In Italia abbiamo almeno una quarantina di esempi di gruppi grandi e medi – come Luxottica, Piaggio, Leroy Merlin, Ducati, Volkswagen Charta, Poste italiane, Enav, Ferrovie dello Stato, Autostrade per l’Italia – dove negli ultimi anni si sono consolidate le più diverse esperienze di partecipazione contrattata tra sindacati e imprenditori. Nella Bergamasca, con l’eccezione dello stabilimento ex Ponte Nossa, poche intese finora. La proposta della Cisl si aggancia ad un principio largamente condiviso nel campo giuslavoristico: la partecipazione a lla governance deve necessariamente avvenire “dal basso”, quale esito di una scelta volontaria e negoziale dei soggetti coinvolti nelle relazioni industriali. Si tratta di promuovere reali forme di coinvolgimento dei dipendenti, a cominciare dall’ingresso dei rappresentanti dei lavoratori nei Consigli di sorveglianza e nei Consigli di amministrazione, e di riconoscere ai lavoratori e al sindacato una funzione consultiva a monte delle decisioni più rilevanti per il futuro delle aziende. Proponiamo – fra l’altro – incentivi fiscali nella distribuzione degli utili aziendali ai dipendenti, strumenti finanziari per il possesso di quote di capitale, un fondo fiduciario in cui i lavoratori possono affidare le loro quote azionarie, forme di premialità contributiva e fiscale per le aziende che vi aderiscono. In sostanza: nuove regole per favorire accordi di codecisione su organizzazione, gestione e utili. Riteniamo ci siano tutte le condizioni, anche nella Bergamasca, perché su questa prospettiva convergano tanti industriali e manager innovatori: rappresenterebbe un vantaggio per tutti, territorio compreso».

Sbarra, in un’intervista ad «Avvenire», ha parlato di vera riforma democratica e di piena democrazia sociale.

«La proposta di legge rimanda a 7 articoli della Costituzione, in particolare al 46, là dove si afferma che la Repubblica riconosce “il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. La partecipazione deve diventare un diritto fondamentale dei lavoratori, la leva per dare centralità alla persona e alla sua creatività. Per la Cisl è una battaglia storica e valoriale, che affonda le radici anche nella Dottrina sociale della Chiesa. Come dicevano i padri costituenti, il lavoro è soprattutto un mezzo per realizzare la crescita degli individui come persone, membri di una comunità in cui l’apporto meramente economico sarebbe insufficiente al progresso civile e sociale e per questo non sostituibile dall’erogazione di un reddito pubblico. Promuovere partecipazione e responsabilità è necessario per dar senso al lavoro delle persone e alla crescita economica del nostro Paese, il vero fattore di sviluppo di ogni azienda sono le persone che vi lavorano, promuovere collaborazione e non competizione come modalità per affrontare il futuro è ciò che propone la Cisl oggi. Riteniamo sia giunta l’ora per un vero cambiamento».

Motivi ideali e anche contingenti?

«La straordinaria occasione del Pnrr si inserisce nelle tante crisi che stiamo vivendo e in una condizione particolare del tessuto industriale italiano, tipica anche da noi che pure disponiamo di eccellenze e siamo fra i primi della classe in Europa. Siamo un bacino di “terzisti”, una rete di piccole e medie imprese, dove sono assenti i grandi player internazionali, fatichiamo a comporre strategie di ampio respiro e perdiamo il valore aggiunto del lavoro forte che s’indirizza verso altri Paesi. Il “terzista” soffre, non dispone di adeguati settori di ricerca, non ha canali di sbocco, vive una condizione di minorità che non aiuta ad alzare gli stipendi. Abbiamo visto negli anni scorsi cosa è successo nel tessile. Per aggiungere competitività e consapevoli dei fattori che ci svantaggiano, dobbiamo puntare sulla vera ricchezza delle aziende: le persone. Per questo proponiamo una triangolazione virtuosa: partecipazione, formazione, informazione. Bisogna ragionare attorno a una strategia volta ad una nuova valorizzazione dei lavoratori: l’azienda è una ricchezza per il territorio, per chi vi lavora e non solo per gli azionisti».

Il lavoro c’è, ma l’inflazione morde i salari.

«Il problema principale dei lavoratori bergamaschi si chiama recupero del potere d’acquisto degli stipendi e delle pensioni, indebolito del 10% dall’inflazione. Primo punto: bisogna rinnovare i contratti in tempo utile, proprio perché sono le fasce più deboli ad essere penalizzate. Per quel che riguarda la contrattazione sul nostro territorio, abbiamo in essere 403 contratti attivi, 270 si propongono di raggiungere obiettivi di produttività, 264 di redditività, 208 di qualità, mentre 28 prevedono un piano di partecipazione e 246 prevedono misure di welfare aziendale. In particolare chiediamo al governo di abbassare il cuneo fiscale in modo strutturale, non a tempo. Abbiamo chiesto una riduzione di 5 punti del cuneo (circa 1200 euro all’anno in media), tanto più che lavoratori dipendenti e pensionati sono coloro che non hanno beneficiato degli sconti sulle tasse».

Nel frattempo mancano lavoratori.

«Una carenza che, purtroppo, sarà sempre più cronica, vista la continua tendenza demografica al ribasso che registriamo pure nelle nostre comunità. Guardiamo i numeri. Il decreto flussi per gli immigrati ci ha assegnato 350 posti per lavoratori a tempo indeterminato e, all’ultimo Click Day, sono andati esauriti esattamente in 2 minuti e 19 secondi. Va male anche per i lavoratori a tempo determinato, in particolare gli stagionali. Qui non ci siamo proprio: basti pensare che in media ci vogliono 10 mesi fra la domanda e l’assunzione. E’ un cortocircuito: senza permesso non si può avere il conto in banca e senza questo non si può lavorare. Altra questione sempre più problematica è l’impatto dell’inverno demografico. Nella Bergamasca la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è inferiore alla media lombarda, in un Paese già lontano dagli standard europei. Ribadiamo il concetto che i figli sono della mamma e pure del papà, quindi: conciliazione famiglia-lavoro, congedi parentali anche per il genitore e soprattutto servizi. I figli sono un investimento della società e bisogna che tutto sia gratis, mentre da noi l’asilo nido costa dalle 500 alle 800 euro al mese. Aggiungo che non aiuta una geografia fatta di tantissimi piccoli Comuni, che non riescono a organizzare i servizi. Bisogna cambiare e anche la contrattazione aziendale deve andare in questa direzione. Sollecitiamo le organizzazioni imprenditoriali a mettere in campo iniziative in tal senso».

Però le politiche attive del lavoro funzionano.

«Sì, novità positive in questo settore: finalmente abbiamo le risorse economiche con la Garanzia occupabilità lavoratori (Gol), sono arrivati i soldi per i Centri per l’impiego e sono stati aperti nuovi uffici, è stata definita la mappatura del Reddito di cittadinanza (4 mila persone potrebbero entrare nel mercato del lavoro) e gli addetti della pubblica amministrazione ai servizi per il lavoro sono passati da 54 a oltre 200. Le politiche attive costituiscono la rete in cui trova posto lo zainetto delle competenze del lavoratore, la formazione per gestire i cambiamenti».

A che punto siamo con la messa a terra del Pnrr?

«Siamo stati agevolati, nel senso che siamo partiti in anticipo perché c’era già una cabina di regia che aveva lavorato su progetti precedenti. Il problema coinvolge la capacità di progettazione e i tempi, elementi indispensabili: noi li abbiamo, si tratta di potenziarli per evitare che sul territorio ognuno vada per la propria strada. L’importante è evitare il formarsi di tanti rivoli e non riuscire poi a indirizzarli in maniera strategica. Noto però un’attenzione insufficiente alla questione sociale, mi riferisco alle disuguaglianze e non solo, che invece è contemplata dal Piano».

Un giudizio su questo governo.

«Noi, come da tradizione, vogliamo discutere le questioni nel merito. Ci aspettiamo un dialogo vero, concreto e costruttivo, non convocazioni di facciata o quando le decisioni sono già prese. Stiamo facendo la mobilitazione unitaria e, come Cisl, siamo impegnati a informare i lavoratori sui dati e reali e sulle prospettive. Anch’io ho partecipato alle assemblee di fabbrica, ad esempio alla Lucchini di Lovere. L’obiettivo è portare a casa quelle misure necessarie e utili per rilanciare la dignità del lavoro: previdenza, fisco, politica industriale, formazione, partecipazione. Da tempo sosteniamo l’urgenza di un nuovo Patto sociale per gestire questa fase straordinaria, ricordando che abbiamo sempre risposto all’appello dell’interesse del Paese. Ci auguriamo che il governo sappia cogliere questa disponibilità. In caso contrario valuteremo e prenderemo responsabilmente le nostre decisioni».

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