Razzino: «Con lo sblocco nessuna corsa ai licenziamenti nella Bergamasca»

Il presidente del Consiglio provinciale dell’Ordine dei consulenti del lavoro di Bergamo: lo sblocco potrebbe toccare meno del 5% dei contratti a tempo indeterminato. «Possibile però l’assunzione di giovani specializzati»

La percentuale di chi sarà toccato dallo sblocco dei licenziamenti a partire dal 1° novembre potrebbe essere, in Bergamasca, molto bassa. Inferiore al 5% del totale dei contratti a tempo indeterminato per Marcello Razzino, presidente del Consiglio provinciale dell’Ordine dei consulenti del lavoro di Bergamo, che parla a margine del convegno tenutosi ieri con il tema «Lo sblocco dei licenziamenti e il green pass. Riflessi sul rapporto di lavoro». Del resto la narrazione che coinvolge il territorio parla di una richiesta di occupazione in continuo aumento e un tasso di disoccupazione che ormai è da mesi stabile sulla soglia del 3%.

I dati del sistema informativo Excelsior parlano di 31.250 nuove assunzioni previste tra settembre e novembre 2021, soprattutto nell’ambito dei servizi, un dato migliore del 2020 come prevedibile, ma addirittura migliore del 27% rispetto al 2019 e inquadrano la provincia bergamasca dentro un’isola felice, almeno dal punto di vista occupazionale. Nel dettaglio molti dei contratti siglati sono in realtà a tempo determinato, senza stabilità effettiva e questo gioca un ruolo importante sia nella qualità dell’occupazione che nella reale preoccupazione che una data come quella del 31 ottobre può generare.

Razzino, il suo è uno sguardo puntato in particolare sulla piccola e media impresa, ma voi consulenti come vedete la situazione?

«Crediamo che la situazione non sia così nera come è stata presentata, almeno per ciò che riguarda il nostro territorio. Non prevediamo una massa di licenziamenti, semmai conseguenze legate ad aggiustamenti o riorganizzazioni interne».

Cosa significa? Quali lavoratori rischiano di più?

«Non possiamo dirlo con certezza e soprattutto occorre fare una distinzione fra contratti a tempo determinato che possono arrivare a una naturale scadenza per poi essere ritrattati e il licenziamento di personale in forza a tempo indeterminato. In questa seconda ipotesi non credo che si possa arrivare al 5% della platea complessiva nel nostro territorio. Molto più probabile che contratti temporanei vengano rivisti».

Quanto incide la questione degli stipendi troppo bassi nella difficoltà, soprattutto in certi settori, a trovare personale?

«Il tema esiste anche a Bergamo ma è una questione che si può risolvere solo intervenendo sul costo del lavoro. Nell’agenda del governo tra le priorità c’è la riduzione del cuneo fiscale che non ci rende competitivi a livello europeo e incide nei rapporti fra lavoratore e azienda. Il dipendente potrà essere premiato con stipendi più alti solo se viene rivisto il costo del lavoro, ma certamente andrà anche a qualificare meglio l’occupazione in generale».

Il buono stato di salute dell’occupazione bergamasca deve però fare i conti con un’alta percentuale di contratti a tempo determinato? Come se lo spiega?

«È la diretta conseguenza dell’instabilità del periodo. Ora le aziende vivono la spinta della ripartenza, ma in molti casi pagano anche il problema del rifornimento delle materie prime con casi al limite della cassa integrazione, ovvero presenza di lavoro e ordinativi, ma mancanza di materiale su cui attivare i propri dipendenti. Stando così le cose capisco che le aziende abbiano molte perplessità sul futuro».

Tornando allo sblocco dei licenziamenti, quali i settori più a rischio?

«Ci sono situazioni che pagano crisi pregresse da cui non sono mai uscite realmente. Lì mi aspetto che lo sblocco dei licenziamenti porti una riorganizzazione più ingente. Credo anche che in alcuni casi i licenziamenti potrebbero anticipare l’assunzioni di figure professionali più specializzate».

Una sorta di largo ai giovani?

«È certo che tutti i temi legati alla digitalizzazione siano ora preminenti. La stessa pandemia ha costretto le aziende a riorganizzarsi per essere più competitive e offrire una produzione qualitativamente migliore. Questo richiede anche una riorganizzazione del personale. Per questo credo anche che il tema della formazione e della ricollocazione delle risorse aziendali sia fondamentale. È ciò su cui il reddito di cittadinanza non ha funzionato, sviluppando solo la parte assistenziale senza stimolare la ricerca di un’occupazione».

Green pass e richieste di smart working quanto peseranno?

«Il 15 ottobre, quando è entrato in vigore l’obbligo del certificato verde per accedere ai posti di lavoro, temevamo ci potessero essere problemi, invece, a parte pochi casi isolati la situazione si è stabilizzata subito e il green pass non ha creato i vuoti di personale paventati. Sullo smart working qualcuno sta procedendo. C’è una generale tendenza al rientro in presenza, ma è strumento tenuto in buona considerazione dalle aziende, soprattutto per chi ha riscontrato un aumento della produttività, anche se molto dipenderà dall’evoluzione della legge».

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