Stipendi più alti e riposi: «La ricetta per frenare la fuga del personale»

Terziario. In due anni a Bergamo bar e ristoranti hanno perso circa 2mila addetti, molti non rimpiazzati. Fusini (Ascom): a rischio la crescita delle nostre imprese.

Paghe più alte, orari di lavoro più sostenibili, più giorni di chiusura alla settimana. In altre parole, una maggiore attenzione nei confronti della qualità della vita dei lavoratori per convincerli a tornare là da dove sono scappati durante la pandemia. Sono queste le misure che le imprese del terziario – e in particolare i pubblici esercizi – sono disposte a mettere in campo per trovare nuovo personale. È quanto emerge da una ricerca commissionata da Ascom Confcommercio a Format Research sulla mancanza di addetti nel terziario in provincia di Bergamo. In due anni solo bar e ristoranti, i più colpiti dalla crisi del Covid e dalla fuga del personale, hanno perso circa 2mila addetti, pari al 10% del totale; molti di loro non sono stati rimpiazzati in estate e il timore è che sarà difficile trovarne anche la prossima primavera.

Paghe più alte, orari di lavoro più sostenibili, più giorni di chiusura alla settimana. In altre parole, una maggiore attenzione nei confronti della qualità della vita dei lavoratori per convincerli a tornare là da dove sono scappati durante la pandemia.

Il problema esiste ed è noto da tempo: mancano le competenze (e qui c’entra anche la formazione), ma c’è una questione legata pure alla mancanza più generale di forza lavoro, che sta diventando strutturale anche in altri settori e che è associata ad un deficit demografico crescente, oltre che ad aspettative o scelte di vita che stanno cambiando. Insomma, non una ma tante cause per un problema che i numeri della ricerca fotografano in modo chiaro. Negli ultimi due anni il 45% delle imprese si sono messe alla ricerca di personale; di queste il 56% ha fatto fatica a trovarlo. In termini assoluti, si parla di 6.050 piccole e microaziende. La scarsità di competenze (57,1%), ma anche gli orari di lavoro ritenuti pesanti (38,1%), la retribuzione insufficiente (21,4%) e la concorrenza di altre imprese (17%) sono tra le motivazioni a causa delle quali, secondo gli imprenditori, non si trovano addetti, soprattutto nei bar e tra il personale di sala dei ristoranti. «Tutto ciò ha portato a un vuoto che si è avvertito in particolare questa estate – ha detto Oscar Fusini, direttore di Ascom Confcommercio –. Il problema, però, rischia di diventare strutturale e in prospettiva potrebbe generare uno stop alla crescita delle imprese».

Negli ultimi due anni il 45% delle imprese si sono messe alla ricerca di personale; di queste il 56% ha fatto fatica a trovarlo. In termini assoluti, si parla di 6.050 piccole e microaziende. La scarsità di competenze (57,1%), ma anche gli orari di lavoro ritenuti pesanti (38,1%), la retribuzione insufficiente (21,4%) e la concorrenza di altre imprese (17%) sono tra le motivazioni a causa delle quali, secondo gli imprenditori, non si trovano addetti, soprattutto nei bar e tra il personale di sala dei ristoranti.

Anche questo, in effetti, dicono i numeri: tra chi ha cercato personale negli ultimi due anni, il 54% ha fatto più fatica a trovarlo rispetto al periodo pre-pandemico e solo l’11% ha dichiarato di avere avuto meno difficoltà.

Non sottovalutare il fenomeno, ma soprattutto provare ad attrarre di nuovo i lavoratori; così le imprese sono chiamate a rimettersi in gioco: «Occorre che gli imprenditori rivedano i modelli di gestione delle loro imprese, che possono prevedere orari e turni diversi e più giorni di chiusura per conciliare le esigenze aziendali a quelle dei lavoratori», ha aggiunto Fusini. Ma le aziende si dicono pronte a spingersi oltre: il 25,1% sono favorevoli ad alzare gli stipendi (in media del 16%), il 23% ad organizzare corsi di formazione, il 22% a riconoscere premi di produzione e il 17% ad adottare nuove politiche di welfare. «Il problema non è solo economico, ma anche sociale – ha detto Pierluigi Ascani, presidente di Format Research –, riguarda tutto il mondo del lavoro e ha bisogno di risposte di sistema».

Un concetto ribadito anche da Enrico Betti, responsabile dell’area Lavoro dell’Ascom. Per Fusini, «il fatto che gli imprenditori siano disponibili a pagare di più è un segnale importante, sta aprendo a un sistema di aziende più attente alle condizioni dei lavoratori. È in atto un’accelerazione in questo senso – ha aggiunto – dovuta al bisogno di trattenere i lavoratori. Purtroppo però questo Paese è ancora imbottito di ammortizzatori sociali: serve una revisione per fare in modo che siano finalizzati a un rientro nel mondo del lavoro in tempi rapidi. Abbiamo bisogno di un sistema nuovo di politiche attive del lavoro - dopo il fallimento dei navigator a spese degli italiani - per ricollocare, solo in provincia, di Bergamo 9mila lavoratori. Se ci riusciremo, faremo del bene non solo a loro, ma anche alle imprese».

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