Aborto, scelta drammatica: il sostegno alle famiglie

MONDO. My voice, my choise (la mia voce, la mia scelta), un’associazione che si batte per l’aborto, ha chiesto all’Unione Europea un sostegno finanziario per effettuare interruzioni di gravidanza sicure, per chi non abbia ancora accesso all’aborto legale.

Attualmente la politica in materia di aborto rimane di esclusiva competenza dei singoli Stati, inoltre l’Ue non può legiferare o finanziare iniziative che possano ignorare o aggirare le leggi sanitarie e i quadri etici nazionali. Quindi lo scopo di voler uniformare l’accesso all’aborto, sembra essere un passo per introdurre il «diritto all’aborto», come già avvenuto in Francia.

La proposta riapre un acceso dibattito tra il diritto della donna ad abortire e il diritto alla vita del nascituro. Ma la questione riguarda anche il ruolo della legge civile rispetto alla legge morale. La sentenza Roe v. Wade del 1973 aveva stabilito che il diritto alla vita non si poteva applicare al feto in quanto non in grado di vivere fuori dal grembo materno, mentre il diritto all’aborto andava garantito dal diritto alla privacy, perché rientrerebbe tra le decisioni individuali più intime. Nel 2022 una nuova sentenza della Corte Suprema degli Usa ha sovvertito la precedente, asserendo che il diritto alla privatezza non include la facoltà di decidere sulla vita altrui, né la Costituzione deve garantire il diritto all’aborto. Quindi l’aborto non è più legge federale, ma dei singoli Stati.

Il ruolo degli Stati

Le legge civile ha il compito di tutelare la giusta convivenza nel rispetto dei diritti fondamentali della persona, in primis il diritto alla vita , presupposto basilare degli altri diritti, compreso quello alla libertà. La persona può decidere liberamente di ciò che riguarda la propria vita, ma nel caso dell’aborto c’è di mezzo la vita di un’altro essere umano. Stabilire il diritto all’aborto vorrebbe dire concedere a uno il potere, di vita o di morte, su un’altro. Ammesso che il nascituro è persona umana e gli vada riconosciuto il relativo diritto alla vita, legalizzare l’aborto procurato significa favorire, col sostegno della società e dell’autorità istituita, l’indebolimento del senso di giustizia.

Il pericolo è di sgretolare le basi stesse dei diritti umani sui cui si fonda la democrazia. Il valore della libertà va insieme con quello della vita e della dignità umana. L’embrione pur dipendendo biologicamente dalla madre non è una parte del corpo della madre, ma un essere umano in fase di sviluppo. La scelta di molti Stati non è stata quella di legalizzare l’aborto, ma di depenalizzarlo. L’aborto rimane un atto moralmente grave, ma non è un reato perseguibile in determinate situazioni, come quando la salute della madre è messa in pericolo dalla gravidanza. Di fatto oggi nei reparti di neonatologia sono rare le malattie materne che non possono essere trattate o controllate. C’è poi la piaga dell’aborto clandestino, causa non infrequente di morte e di sterilità nella donna, per cui è meglio regolare la pratica dell’aborto che lasciarla nell’ombra. Questo però non ha sconfitto la clandestinità, alcune donne lo fanno per restare nell’anonimato, altre perché costrette o senza documenti.

L’inviolabilità della vita è un imperativo etico della ragione, prima ancora di un esplicito comandamento del decalogo, per cui una normativa che ammettesse l’aborto si troverebbe in totale contraddizione con l’autentico diritto alla vita e violerebbe l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge. L’aborto resta un scelta drammatica, contraria al senso di maternità, spesso motivata da ragioni economiche o sociali, bisognerebbe arrivare ad avere, anche in Italia, oltre i Centri di aiuto alla vita, delle Case per la maternità dove ospitare donne in difficoltà di fronte a una gravidanza. Ma soprattutto una politica comune a favore delle famiglie, segno tangibile dell’amore alla vita.

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