Addio partiti
corazzata
La politica
è naufragata

Primo bilancio della legislatura. In tre anni tre diversi governi. Due diversi premier non parlamentari, nemmeno iscritti a un partito. Tre maggioranze diverse: unica loro costante la presenza di un Movimento anti-casta e anti-partito, ma pronto ad allearsi, in tre maggioranze diverse, con tutti i partiti presenti in Parlamento. Un partito non-partito (M5s), maggioritario in Parlamento e quindi determinante per la formazione di qualsiasi maggioranza, rivoltatosi nel giro di tre anni nel suo contrario: da apostolo ad apostata del populismo. Ce n’è abbastanza per dire che la politica ha perso la trebisonda. Forse, sarebbe meglio dire, che s’è letteralmente persa per strada.

Prima avevamo le corazzate di partiti che sapevano affrontare i flutti della storia, orientate solo dalla bussola dell’ideologia che prometteva mete salvifiche: chi la libertà, chi l’eguaglianza, chi entrambe, chi dell’altro ancora. Non ce n’è più traccia. Non ci sono più partiti, non ci sono più ideologie e forse nemmeno ideali. Si vedono in mare per lo più navi corsare, avide di facili bottini, disposte a invertire la rotta se pare utile a catturare un maggior numero di elettori. E la politica fa naufragio. O meglio, lo ha già fatto, e non da oggi.

È da lungo tempo che annaspa, precisamente da quando è scattata la guerra ai partiti. Si è consumata allora la fine di quei legami collettivi che erano saldati dalla condivisione d’ideali, preferibilmente di ideologie. Il rifiuto di ogni identificazione ha compromesso la possibilità di costruire solidarietà collettive. Al loro posto è subentrata la rivendicazione di una vita libera da ogni vincolo superiore. Ciò ha reso ognuno estraneo al destino degli altri. Mossi dalla voglia di non seguire altro che la propria volontà, siamo diventati narcisisti e consumisti, privi di solide certezze, volubili.

Senza identità collettive, non sorprende che si sia verificata la morte anche delle cause comuni. È scomparsa l’idea che la politica sia ciò che può dare un senso alla vita, modificando l’esistente per produrre un mondo nuovo. È saltato il nesso che legava i destini privati ai traguardi generali. Tutto quello che conta si gioca nel tempo presente e nello spazio del privato. Destra, sinistra, centro paiono parole vuote.

Lo stesso sgretolamento ha investito i partiti. Destra e sinistra non segnano più dei confini invalicabili. I cambi di casacca dei parlamentari, come i cambi di programma dei partiti sono diventati cronaca quotidiana. Nella presente legislatura si contano ormai più di 250 passaggi (talora a ripetizione) da un partito all’altro, con buona pace di chi voleva istituire il vincolo di mandato. Caso limite, quello dei Cinquestelle. Forza originariamente né di destra né di sinistra, è transitata, senza colpo ferire, dall’abbraccio con la destra (Salvini), con la sinistra (Zingaretti), infine con entrambe e, per non farsi mancare nulla, anche con un «tecnico» (Draghi), additato prima come personificazione vivente degli odiati «poteri forti».

Nemmeno gli altri partiti seguono una rotta precisa. Quelli di destra, riescono a conciliare rotte diverse, anche contraddittorie: la liberale e la sovranista, l’antieuropeista e l’europeista, la giustizialista e la garantista. La sinistra tiene sì, la barra dritta verso un - sempre sfuggente - «campo largo dei progressisti», ma non ha ancora deciso la rotta da seguire: se quella indicata da Draghi o quella, peraltro polifonica quando non dissonante, dei Cinquestelle. Se questo non è il naufragio della politica, gli assomiglia molto.

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