
(Foto di ansa)
MONDO. Quattro ex manager di Volkswagen sono stati condannati per truffa dal tribunale tedesco di Braunschweig. La sentenza fa seguito alla condanna di Rupert Stadler, amministratore delegato di Audi, per frode nel 2023.
I quattro dirigenti possono ricorrere in appello ma resta ormai acclarato che la responsabilità resta in capo ai vertici aziendali. Nel 2015 le autorità americane scoprono la presenza nelle autovetture tedesche a diesel di un software, cosiddetto «defeat device» che falsifica i dati di emissione in modo da risultare meno inquinanti. Per l’azienda si quantificano 33 miliardi dal 2015 al 2025, più altri circa 9 miliardi di euro per cause risarcitorie in corso. Il costo economico è grande e tuttavia superabile per un’azienda come Volkswagen, quello che invece non si potrà più recuperare è il danno reputazionale.
La rappresentazione del prodotto tedesco tecnicamente perfetto quanto lo è nell’immaginario collettivo la probità e la correttezza dei suoi operatori, è svanita. La forza che ha guidato l’economia tedesca negli anni del miracolo economico del dopoguerra e poi della riunificazione viene meno proprio nell’anno, il 2015, che consacra la Germania alle frontiere aperte. Il governo Merkel apre le porte a un milione di rifugiati siriani e assurge con la figura del cancelliere a personaggio dell’anno della rivista americana «Time». Un atto di magnanimità che solo uno Stato ricco ed economicamente egemone può permettersi. I peccati di un passato nazionalsocialista che il mondo non dimentica vengono emendati. Una Germania buona è il tassello che manca. Una potenza industriale deve avere anche un soft-power. Non è sfuggito infatti che il trucco delle false emissioni non è stato scoperto in Europa. L’Unione Europea è sempre stata all’avanguardia nella tutela dell’ambiente ma sul controllo delle auto sempre un po’ reticente. La lobby automobilistica tedesca ha a Bruxelles il potere che deriva dall’essere la punta di diamante della manifattura europea. E lo fa sentire. A Bruxelles dal 2010 al 2019 è stato commissario all’Industria e poi al Bilancio Günther Oettinger l’ex capo del governo del Baden-Württemberg, il Land di Mercedes, di Porsche, di Bosch.
Uno dei problemi della Germania attuale è proprio la digitalizzazione, ovvero la scarsa propensione ad avviare i procedimenti amministrativi in modo semplificato
Ed è proprio da questa posizione di dominio dell’industria tedesca che nasce la convinzione di essere i migliori e quindi imbattibili. Una condizione consacrata dall’ex cancelliere Gerhard Schröder con la nota frase «Siamo i migliori costruttori d’auto del mondo». Uno dei problemi della Germania attuale è proprio la digitalizzazione, ovvero la scarsa propensione ad avviare i procedimenti amministrativi in modo semplificato. Sap è l’unica grande industria tedesca con un fatturato cloud e software ma è quasi cinque volte inferiore a Microsoft. Volkswagen non ha investito nella guida autonoma e nell’innovazione di prodotto come gli americani e soprattutto i cinesi con le loro auto elettriche. Hanno pensato a Wolfsburg invece di investire sul presente, truccando le carte per mantenere il controllo di un mercato dominato dal diesel. Il modello di sviluppo tedesco prevede la manifattura industriale al centro ed è evidente che le classi dirigenti tedesche non hanno letto il segno dei tempi. Gli americani hanno presentato il conto. L’illusione di un triangolo Berlino-Mosca-Pechino con al centro l’export tedesco l’ha distrutta la sentenza di Braunschweig. Adesso la Germania deve ripensare un nuovo sviluppo e lo farà con la necessaria modestia che si deve ad un perdente.
La prudenza e la disponibilità al dialogo mostrati dal nuovo governo Merz ne sono la testimonianza. Per l’Italia, che con la Germania è interconnessa, un buon presupposto per creare un rapporto di pariteticità. Convergere su Berlino è l’unico modo per distogliere i tedeschi dagli obblighi, più dovuti che sentiti, di un’alleanza con Parigi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA