Bergoglio equivicino costringe al confronto

Neppure un cenno, neppure il nome. Nella Dichiarazione finale del Congresso dei leader religiosi in Kazakhstan la guerra tra Mosca e Kiev non esiste. Non c’è il nome dell’aggressore e manca anche quello dell’aggredito. Ma era quasi prevedibile. Le Dichiarazioni finali comuni per poter trovare il consenso devono limare, smussare, ridurre, adattare, financo nascondere gli angoli troppo appuntiti.

Eppure il Congresso di Nur Sultan ha avuto molto a che fare con l’Ucraina e la pace che non c’è in Europa. La Dichiarazione finale sembra dimenticarlo, forse perché la delegazione ortodossa di Mosca non l’avrebbe firmata, forse perché anche altri leader religiosi sarebbero stati in evidente difficoltà se nel testo si fosse accennato ad una critica dell’antico principio secondo il quale Stato e Chiesa (qualsiasi Stato e qualsiasi Chiesa) si completano a vicenda e si aiutano reciprocamente nelle rispettiva politiche. Quante sono le confessioni religiose che si trovano nell’impasse? Quante puntellano il potere e si fanno garantire dal potere?

La Dichiarazione è generica sulla guerra e non accenna per niente ad una questione cruciale. Eppure non si può parlare affatto di fallimento del summit. Di solito è meglio una Dichiarazione generica che nessuna Dichiarazione. Ma il vertice di Nur Sultan è servito soprattutto per confermare la leadership mondiale di Bergoglio. Ha parlato all’apertura e ha parlato alla chiusura, unico leader religioso a farlo, confermando il fatto che le sue parole sono le uniche credibili. Nulla ha infilato nella nebbia dell’oblio per ragioni diplomatiche e di consenso. Insomma non è stato diplomatico.

La frase sul sacro che puntella il potere e viceversa, le analisi sulla guerra diventata ormai unico arbitro nelle relazioni internazionali con la tragica filiera dell’aumento delle spese militari, i presagi sempre più drammatici di una nuova apocalisse e la denuncia della fascinazione dello scontro che sempre più seduce le Cancellerie con relativo grande investimento in armamenti e altrettanta ritirata dai tavoli di dialogo, hanno segnato il vertice. Bergoglio ha sempre parlato chiaro e dialogato con tutti, anche se mai ha stretto alleanze con alcuno.

Sulla crisi ucraina lo si è visto con estrema chiarezza: non equidistante, ma equivicino a tutti. È la sua idea di multilateralismo, che ha spiegato insistendo sulla generazione di un nuovo spirito di Helsinki. Oggi il multilateralismo inclusivo nato a Helsinki è stato sbaragliato da un multilateralismo sfilacciato, che ha la sua cifra sulla scomposizione geopolitica del sistema internazionale, cosicché ognuno si sente autorizzato a gestire il suo pezzo di conflitto o di mediazione politica. Il risultato è stato la deriva del multilateralismo con i guai sotto gli occhi di tutti, accentuati dalla competizione tra tentativi di negoziazione diretta da parte di alcuni, sulla base di propri interessi specifici.

Il multilateralismo è stato polverizzato dall’hard power, cioè dal predominio politico, economico, militare di alcuni Stati, che sono riusciti nell’impresa di chiudere in soffitta il soft power, cioè l’indirizzo di chi è capace di tessere dialogo, suscitare affinità, sollecitare pazienza, trovare sinergie tra popoli e Stati con la speranza di poter costruire una nuova architettura geopolitica, aliena dall’arroganza di chi esercita il diritto in forza della propria influenza geostrategica.

Quando Bergoglio chiede più istruzione e meno armi, intende esattamente operare in questa direzione. E il fatto che sia andato a ragionare così sulla dorsale più inquieta del mondo, quell’Euroasia che da secoli segna gli equilibri globali, ha costretto tutti al confronto, nonostante una zoppicante Dichiarazione finale.

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