Berlusconi e il Quirinale, comunque vada sarà un successo

La prima avvertenza da rispettare per chi aspira alla carica di presidente della Repubblica è di non candidarsi. Non a caso, i papabili diventano in genere muti (Walter Veltroni, Marcello Pera, Marta Cartabia), o di colpo ammutoliscono e, se si pronunciano, lo fanno per allontanare da sé il sospetto. Giuliano Amato si è schernito auspicando che salga al Colle una donna, Pier Ferdinando Casini ha fatto dell’understatement la propria linea di condotta. Di regola, insomma, chi entra in Concilio Papa esce cardinale. A meno che l’investitura non sia convintamente assegnata da una maggioranza larga e blindata, com’è stato per i presidenti Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi, eletti infatti al primo scrutinio.

Al presente, poi, c’è la complicazione della candidatura di «SuperMario» che, dopo il rifiuto di una possibile riconferma da parte di Sergio Mattarella, diventa una questione scottante.

Vien da chiedersi per quale strana ragione si sia fatto avanti Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia non solo si è lasciato candidare dal centro-destra, ma anzi si prodiga per avvalorarla.

Tutto ciò, nonostante pochi ritengano che l’operazione abbia una qualche probabilità di riuscita, se non altro perché il suo nome è altamente divisivo.

Ragion per cui, il suo desiderio di finire la carriera politica conquistando la massima carica dello Stato appare per un verso un sogno difficile da realizzare, per un altro un equivoco difficile da sbrogliare. Non è però un passo falso né – crediamo - frutto di un’ingenuità. Vediamo il perché.

Innanzitutto, ha già ottenuto un risultato. Per un politico come lui, allontanato dal Parlamento, bollato come evasore fiscale, stabilmente insultato dal «Fatto quotidiano» come «delinquente abituale», riuscire ad avvalorarsi come papabile al Quirinale è più di una riabilitazione. È quasi una «beatificazione», tanto più che la sua candidabilità non è più salutata dalla sinistra col solito «vade retro satana».

C’è da dire poi che, comunque vada a finire la sua corsa al Quirinale, che riesca o meno, il bilancio finale sarà comunque in attivo. Non solo sarà chiaro a tutti che il «reietto» è tornato al centro della scena politica, ma anche che il suo è ancora l’unico nome su cui si può ritrovare unito il centro-destra; il che non è poco per un personaggio dato già politicamente per morto ormai da diverso tempo.

Non è senza un preciso calcolo, inoltre, che anche Fratelli d’Italia e Lega si siano impegnati a sostenere la sua candidatura.

Possono in questo modo esibire un’unità della coalizione che ultimamente fa acqua da molte parti. E ancora: possono tenere le carte coperte fino alla quarta votazione, quando basterà la maggioranza assoluta, facendo risultare i rossogialli una minoranza e forse – sperano - anche incapaci di ritrovarsi uniti attorno a una candidatura.

Del resto, cosa altro poteva aspirare di ottenere il centro-destra in tempi in cui non c’è un solo partito politico che non sia diviso, non c’è un solo leader che possa svolgere il ruolo di regista e che sia in grado di far da garante per i propri parlamentari, scongiurando il pericolo, più concreto che mai, di vedere il candidato proposto impallinato dai franchi tiratori, già in agguato come s’è visto in occasione del voto sul ddl Zan?

© RIPRODUZIONE RISERVATA