Berlusconi e Salvini, sgambetto anti-Meloni

Il vertice dei partiti del centrodestra già lavora – e litiga – come se la vittoria elettorale del 26 settembre fosse cosa fatta. Non hanno tutti i torti, Meloni, Salvini e Berlusconi: i sondaggi li danno vincenti rispetto ad un campo avversario frammentato, litigioso e ancora molto lontano da un’idea di coalizione. Del resto il centrodestra, tradizionalmente diviso, si è sempre dimostrato capace di unirsi nei momenti decisivi, quelli delle elezioni, e spesso questo ha fatto la differenza.

Dunque, i tre capi marciano pensando di avere in tasca l’Italia dei prossimi cinque anni, e già fioccano gli organigrammi, già si discute dei ministeri, già si avanzano mille candidature. Meloni, Salvini e Berlusconi devono però decidere chi comanderà il loro vasto esercito. E su questo la discussione di ieri viene definita «vivace». Giorgia Meloni, a buon titolo, ritiene di essere lei la inevitabile candidata a Palazzo Chigi in quanto leader del partito che raccoglie – nei sondaggi – il maggior numero di voi, diciamo il 23 per cento (era al 4 quando raccolse i cocci dell’ex partito di Gianfranco Fini). È per questo che da mesi ha messo le mani avanti: «Diventerà presidente del Consiglio chi di noi tre prenderà più voti», ha ripetuto fino allo sfinimento.

E questo mercoledì 27 luglio ha ottenuto: è infatti questa la novità principale, insomma la notizia, della riunione di ieri. Però attenzione: è una mezza notizia. Perché Salvini e Berlusconi, così restii a riconoscere la leadership a Giorgia, hanno accettato la regola che la incoronerebbe già da adesso regina del Palazzo? Perché stanno provando a mettere insieme i loro due partiti, almeno come cartello o apparentamento post-elettorale (anche se ognuno correrà col proprio simbolo) se non proprio come soggetto unitario. È una vecchia idea di Salvini, di quando aveva il 30 per cento e voleva mangiarsi i resti di Forza Italia per diventare il padrone assoluto del campo.

Berlusconi fece resistenza, e più di lui si opposero forzisti della prima ora per nulla rassegnati a «diventare leghisti»: Mara Carfagna, Maria Stella Gelmini, Renato Brunetta… guarda caso proprio coloro che in questi ultimi giorni hanno fatto le valigie e se ne sono andati da Forza Italia, il partito che li ha cresciuti e fatti diventare famosi. Se ne vanno altrove perché hanno capito una cosa molto semplice: per frenare lo strapotere meloniano e dei «Fratelli d’Italia» prima o poi bisognerà mettersi insieme, e vuoi vedere che, accomunati, FI e Lega, riescono a superare il 23 per cento e a rivendicare la premiership?

Certo, problemi da superare ce ne sono tanti. Il principale si chiama Silvio Berlusconi. Che non può, per natura, accettare che qualcuno comandi in casa sua: Forza Italia l’ha costruita lui, col suo carisma, i suoi soldi e le sue televisioni, e non può neanche immaginare che uno come Salvini possa spostare un quadro e una poltrona del salotto. Bisognerà trovare una formula che salvi tutto e tutti: fermi Giorgia e ridia fiato a Lega e FI che da tempo precipitano nei sondaggi e nei voti veri: Salvini ha perso più della metà dei voti del 2018 e, dopo la caduta del governo, potrebbe pagare un ulteriore prezzo visto lo scontento dei ceti produttivi del Nord che chiedevano di mantenere Draghi al suo posto. Di Forza Italia, nemmeno a parlarne: il 4 per cento di cui si parla dice tutto da solo. Per questa ragione molti notabili berlusconiani vedono nell’unione dei due partiti la possibilità di essere rieletti.

A proposito di candidature, nei collegi uninominali Meloni ha tutta l’intenzione di fare la parte del leone: ne vuole la metà, e il resto se li dividano pure Salvini e Berlusconi. La partita sui rapporti di forza nella coalizione candidata a dare all’Italia il prossimo governo è ancora tutta aperta.

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