Bonus edilizi, ragionare oltre l’allarmismo

Il commento. La decisione del Governo di imporre lo stop alla cessione dei crediti e allo sconto in fattura per usufruire dei bonus edilizi è stata accolta con una levata di scudi da parte di numerose associazioni di imprenditori e lavoratori. Sono a rischio cantieri e investimenti nel comparto edile, dunque posti di lavoro, è in sintesi l’allarme lanciato da costruttori, artigiani e sindacati di categoria.

Le obiezioni sono comprensibili, oltre che ovviamente legittime, eppure è auspicabile che non sconfinino in un eccesso di allarmismo, al punto da trascurare del tutto le ragioni della scelta governativa a tutela anche dell’interesse generale dei cittadini-contribuenti.In un’analisi di contesto il più equilibrata possibile, occorre notare in primo luogo che gli incentivi fiscali edilizi (dal superbonus al 90% all’ecobonus, passando per i bonus ristrutturazioni o facciate) rimangono tutti in vigore. L’esecutivo infatti è intervenuto soltanto sull’esercizio delle cessioni e degli sconti in fattura. Rimane dunque la via «classica» della detrazione fiscale per usufruire delle agevolazioni. Inoltre lo stop a cessioni e sconti in fattura vale per il futuro, a partire ieri dall’entrata in vigore del decreto, e non per i lavori già avviati che in linea teorica avranno la possibilità di liquidare i bonus. D’altronde la durata illimitata di questa sorta di «moneta fiscale» poteva essere l’auspicio di qualche categoria ma ciò non basta a scolpirla nelle tavole della legge. Utenti e aziende avranno modo di ricalibrare aspettative e comportamenti nei mesi a venire.

Il problema delle imprese e delle famiglie, però, c’è già qui e ora, argomenta più correttamente qualcun altro. Il riferimento in questo caso è ai crediti «incagliati» che sono stati ceduti e che soprattutto banche e altri intermediari finanziari sono diventati restii ad acquistare. Sul punto ci sono stime diverse, arrivano fino a 15 miliardi di euro secondo l’Ance, mettendo così a rischio la sopravvivenza di 25mila imprese edili. L’esecutivo con lo stesso decreto è intervenuto proprio su questo fronte, alleggerendo la responsabilità in solido dei cessionari che dimostrano di aver acquisito il credito di imposta e che siano in possesso della documentazione (legale, fotografica, ecc.) relativa alle opere che hanno originato il credito d’imposta. Non a caso l’Abi, Associazione bancaria italiana, ha valutato positivamente il decreto perché «fornisce un chiarimento e un utile contributo per la maggiore certezza giuridica delle cessioni dei crediti e contribuisce a riattivare le compravendite di tali crediti di imposta».

Infine l’operato del Governo, come argomentato dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non può che tenere conto dell’interesse generale dei contribuenti italiani. I bonus edilizi hanno di per sé un costo per la fiscalità generale, cioè per noi tutti; un costo elevatissimo nel caso del Superbonus 110% (ridimensionato al 90% soltanto di recente), e che peraltro rischia adesso di finire fuori controllo se anche i crediti ceduti – per decisione di Eurostat – sono equiparati di fatto a nuovo indebitamento per lo Stato. Giorgetti ha stimato che già oggi, in ragione di tutti questi meccanismi, si sono aggiunti duemila euro di debito pubblico pro capite per ogni italiano. Eppure una gestione oculata delle finanze pubbliche, specie per un Paese altamente indebitato come il nostro, è la garanzia più importante per i contribuenti che in prospettiva non saranno gravati da nuove tasse, per i risparmiatori che non vedranno messi a rischio i loro investimenti in titoli di Stato, per le aziende – incluse quelle edili - che potranno fare affidamento su un contesto stabile e non soggetto a instabilità finanziaria.

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