Caso Salvini, è iniziato il gioco dei veleni

È cominciata la campagna elettorale. Nel modo peggiore, naturalmente, a specchio della legislatura più imbarazzante della storia della Repubblica finita anzitempo nel più disastroso dei modi. Col «caso Salvini» sollevato dalle rivelazioni del quotidiano «La Stampa», è ufficialmente partito il gioco del veleno nel ventilatore: oggi colpisce il leader della Lega su uno dei suoi punti più deboli, ma aspettiamoci che, a turno, colpisca tutti gli altri.

Insomma, sono state pubblicate altre indiscrezioni, in realtà nulla suffragato da prove concrete, sui rapporti tra Salvini e la Russia: è un nuovo episodio di una storia che va avanti da anni – ricordate il caso di quegli incontri in un albergo moscovita tra un esponente leghista e uomini d’affari legati a Putin? – e che Salvini stesso ha ampiamente reso verosimile a forza di dichiarazioni, viaggi, fotografie, magliette con la faccia di Putin indossate ed esibite in ogni occasione fino a quando un sindaco polacco al confine con l’Ucraina non gliele ha sbattute in faccia.

Ora a Salvini l’entusiasmo del passato verso il despota russo sta pericolosamente tornando indietro con rivelazioni e retroscena. L’ultimo dei quali sembra essere il più grave: un colloquio tra un avvocato legato a Salvini e un diplomatico russo dell’ambasciata di Roma sulla possibilità di ritirare i ministri e far cadere Draghi. Se fosse vero, rasenterebbe l’alto tradimento.

«Sono fesserie» è stata la reazione dell’interessato: troppo poco. L’ambasciata si è ovviamente cucita la bocca, i servizi segreti italiani (Gabrielli) hanno immediatamente fatto sapere che loro non c’entrano con questa storia, il direttore della Stampa ha confermato tutto e anzi, ha fatto riferimento indiretto a «fonti di intelligence»: quali?

Avendo avuto Salvini una parte predominante nel far saltare Draghi, il governo più atlantista rimasto in Europa dopo la caduta di Boris Johnson, e il più convinto nel difendere l’Ucraina e nel condannare l’aggressione russa, le rivelazioni della Stampa danno facilmente la stura ad una girandola di supposizioni, illazioni, sospetti, veleni e dietrologie da spy-story. Noi possiamo solo intravedere delle ombre ma non sapremo mai nulla di verificabile, rassegniamoci.

Più interessante andare a vedere le reazioni italiane. Quella dell’opposizione è ovvia: circostanze gravissime, Salvini spieghi i suoi rapporti con la Russia di Putin, il Copasir intervenga su un fatto di sicurezza nazionale (evocata anche dal ministro della Difesa Guerini con parole scelte col bilancino e non casuali).

Ma sono le parole di Giorgia Meloni, che ieri ha riunito il suo stato maggiore, a dare a Salvini la stoccata più dolorosa: una presa di distanza gelida e netta. Fratelli d’Italia è atlantista, sta con l’Ucraina contro la Russia, non è per niente imbarazzata.

Insomma, fatti di Salvini, noi siamo un’altra cosa (anche se la Meloni continua a scontare in Europa il sostegno a Orban, nemico numero uno della Commissione, tanto più indifendibile dopo la sua recente dichiarazione a «difesa della razza»).

La circostanza indebolisce la posizione del leader della Lega la cui decisione di ritirare il sostegno a Draghi non è piaciuta a tanti dentro la Lega e soprattutto a tanti nell’elettorato. L’avvertimento del presidente della Confindustria del Veneto – roccaforte del Carroccio – non poteva essere più chiaro: «Faremo i conti nelle urne». E il rischio di una ulteriore discesa elettorale della Lega, in seguito alla caduta di Draghi, è segnalato da tutti i sondaggisti e preoccupa non poco i capi leghisti. Ora arriva questa cannonata in faccia al leader. Però attenzione: tra poco ci saranno altri colpi sparati qua e là, si tratta solo di capire chi sarà il prossimo. Da qui a settembre la strada è lunga.

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