Centrodestra, convivenza difficile in tre sfide

Quanto è difficile la convivenza nel centrodestra. Certo, meloniani, leghisti e azzurri sono una coalizione fatta e finita, a differenza del centrosinistra e della incertissima alleanza Pd-M5S, e per quanto siano divisi dalla collocazione parlamentare - due al governo e uno all’opposizione, e scusate se è poco - comunque i tre partiti (più satelliti) marciano insieme. Ma a fatica, molta fatica. Lo si è visto nei giorni scorsi quando si è discusso della ipotizzata federazione Lega-Forza Italia in funzione anti Fratelli d’Italia, e poi ieri nella elezione del presidente del Copasir e nella discussione sulle candidature nelle grandi città per le elezioni amministrative di ottobre. Ma andiamo con ordine.

Sul comitato parlamentare sui servizi segreti, dopo mesi di tira-e-molla tra Salvini e Meloni, alla fine l’ha spuntata quest’ultima. E non poteva essere diversamente, del resto: la presidenza dell’importante organismo spetta per legge all’opposizione e per questa ragione il presidente leghista Raffaello Volpi doveva farsi da parte essendo esponente della maggioranza. Ma Salvini non ne voleva sapere: tant’è che il candidato di Fratelli d’Italia a quella poltrona Adolfo Urso è stato contrastato in ogni modo dai leghisti (anche tirando fuori documenti sui suoi rapporti d’affari con società iraniane). Ma alla fine è stato eletto coi voti di Pd, M5S, Forza Italia e FdI ma senza quelli dei leghisti che non si sono presentati. Giorgia è contenta per aver vinto ma l’impressione data dalla coalizione è ancora una volta quella di una divisione interna, di una lotta tra due partiti e due leader che si contendono il primato. Fratelli d’Italia ormai è a un passo dalla Lega, stando ai sondaggi: ha raggiunto il Pd e ora punta decisamente al sorpasso sul Carroccio. Salvini resiste ma non sembra riuscire a fermare la crescita della sua alleata. L’obiettivo, come si capisce, è Palazzo Chigi: se il centrodestra vincerà le prossime elezioni la presidenza del Consiglio spetterà al capo del partito più grosso, e potrebbe essere la prima volta di una donna premier. Anche su questo si è giocata la partita del Copasir: i servizi segreti, si sa, sono indispensabili per il potere.

Altra questione, le candidature nelle grandi città. Soprattutto a Roma lo scontro sul candidato sindaco si è protratto per mesi, confuso e avvelenato da veti reciproci, ripicche, impuntature. Il risultato è quello di una candidatura della Meloni - che dunque vince anche qui - ma debole, con un nome non di prima fila come quello dell’avvocato romano Enrico Michetti, un amministrativista che è uso arringare le folle dai microfoni di una radio cittadina.

Certo dall’altra parte non stanno messi meglio: i voti di sinistra e centrosinistra saranno divisi tra Carlo Calenda, che corre da solo e coi renziani, l’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, candidato ufficiale del Pd, e la stessa Virginia Raggi che si ripresenta nonostante gli esiti disastrosi della sua azione amministrativa. Michetti dovrà sconfiggerli tutti: a fianco avrà la magistrata Simonetta Matone, nota soprattutto per essere una delle ospiti preferite di Bruno Vespa nel suo «Porta a Porta». L’accordo raggiunto su Roma (e Torino) ha però costretto a rinviare la discussione su Milano, Bologna e la Regione Calabria.

Va aggiunta la proposta di una federazione tra leghisti e berlusconiani. In Forza Italia i contrari sono tanti. Berlusconi un po’ ha detto sì, un po’ ha detto no, poi ha taciuto, forse per l’influsso di sua figlia Marina, prima consigliera, contrarissima a che il partito si faccia inglobare da una Lega col triplo dei voti. Per ora non se ne farà nulla. E il tentativo di mettere Giorgia Meloni in un angolo da sola è fallito.

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