(Foto di Ansa)
MONDO. L’incontro di domani tra il presidente Trump e il leader cinese Xi Jinping in Corea pone la domanda che sottende la transizione post globalizzazione: chi comanda nel mondo? Una cosa è certa, non l’Europa.
L’Unione Europea era l’alfiere della terzietà. Centralità del diritto internazionale, rispetto delle regole e della divisione dei poteri all’interno della democrazia, forza economica intesa come potere multipolare che si avvale degli scambi per evitare conflitti in armi. Tutte conquiste del mondo del benessere, quando il primo beneficiario era di fatto il solo Occidente, ovvero Stati Uniti e Europa. Da quando la Cina è entrata a far parte del club e guida gli «emergenti» del gruppo dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) ai quali aggiungono gli astri nascenti di Vietnam, Thailandia, Indonesia, Cambogia, Malesia cioè la vecchia Indocina la torta si è allargata ma le fette per l’Occidente sono diventate più piccole e sottili. Forte del suo surplus di esportazioni l’Europa a trazione tedesca ha pensato di continuare il gioco. Gli Stati Uniti invece che hanno una bilancia commerciale in rosso e un debito pubblico in costante aumento hanno deciso di far saltare il tavolo.
Perché dunque la maggior potenza del pianeta che è all’avanguardia nei settori nevralgici dello sviluppo tecnologico e quindi per sé dispone della merce più ambita dell’era tecnologica, il futuro, spariglia le carte e mette sul tavolo da gioco i dazi? Elon Musk, Jeff Bezos, Bill Gates, Mark Zuckerberg e i grandi della nuova industria digitale-comunicativa si arricchiscono ma interi settori industriali sono stati demoliti dalla concorrenza straniera e la classe sociale portante è andata perduta. La middle class è diventata Lower middle class e il livello di sopravvivenza lo segna l’affitto o l’inflazione.
Bastano pochi dollari di aumento e la famiglia si trova sulla strada. Questo spiega anche la sconfitta dei democratici nelle ultime elezioni, benché i dati economici dell’amministrazione Biden fossero buoni. Un cambio di postura radicale degli Stati Uniti. Non più valori condivisi, solo pretesa egemonica. La deterrenza la fa il potere politico e la forza militare. Chi è sufficientemente forte per far da sé ha carte da giocare altrimenti deve soggiacere. Le due grandi potenze condividono le regole del gioco. Ecco perché il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul ha dovuto subire l’umiliazione di dover rinunciare alla visita ufficiale a Pechino programmata da lungo tempo. Improvvisamente il primo ministro cinese e il ministro del Commercio hanno avuto altri impegni da assolvere e al ministro tedesco altro non è rimasto che annullare il viaggio. Merz aveva invitato le ditte tedesche a fare attenzione alla Cina, peccato che negli otto mesi del 2025 il volume totale degli scambi con la Cina abbia superato quello degli Stati Uniti (163,4 contro 162,8 miliardi di euro).
La Germania ha bisogno delle terre rare per l’industria automobilistica e la Cina le nega. Anche per gli Usa il no di Pechino è un problema. E tuttavia Trump può giocare la carta dei dazi ed è già pronto a discutere di Taiwan. Si noti che il primo ministro di quella che una volta si chiamava Isola di Formosa nel suo recente viaggio in Sudamerica si è visto rifiutare il diritto di passaggio aereo negli Stati Uniti e il funzionario dell’Indo-pacifico del Pentagono Jed Royal, ha incontrato nella lontana Alaska e non a Washington il vice-consigliere alla Sicurezza nazionale di Taiwan. Quale carta ha da mettere sul tavolo la Germania da sola?
Lo smacco subito dalla Germania, terzo esportatore mondiale, è il segno dell’irrilevanza europea. Adesso a Bruxelles si muovono in fretta e furia per un progetto in autonomia sulle terre rare ma il tema vero è cosa fare per rendere l’Europa in grado di competere con Stati Uniti e Cina.
© RIPRODUZIONE RISERVATA