Chiesa e abusi, che almeno
la vergogna dia frutto

Questo è il momento della «vergogna». Papa Francesco si rende conto che il rischio del fallimento nella lotta contro gli abusi sessuali è appena dietro l’angolo e che trasparenza, rispetto delle nuove regole, promessa di diversi modelli di condotta, perfino la richiesta di perdono non sono più sufficienti. E pronuncia la frase più forte, ultima chiamata all’assunzione di maggiore responsabilità da parte di tutta la Chiesa. Lui ci mette la sua faccia e ieri mattina all’udienza generale, commentando lo spaventoso Rapporto della Chiesa francese sugli abusi sessuali, ha alzato il tiro ammettendo che la Chiesa ha fatto qualcosa di veramente sbagliato per cui è considerata in maniera totalmente opposta rispetto a quello che avrebbe desiderato. La richiesta di perdono non basta più, né bastano norme più severe e sanzioni. Quello che ancora manca è la totale consapevolezza del male e il suo effetto devastante sulle vittime. Bergoglio è stato chiarissimo: «Esprimo la mia vergogna, la nostra vergogna, la mia vergogna per la troppo lunga incapacità della Chiesa di metterle al centro delle sue preoccupazioni». Tre volte in una riga di testo ripete una parola che stordisce e sconvolge, concetto inchiodato senza attenuanti alla coscienza di tutti.

La vergogna si manifesta quando si capisce di essere consapevolmente colpevoli di non aver fatto abbastanza, anzi poco nell’assunzione e nella accettazione delle proprie responsabilità. Nella lotta agli abusi sessuali nella Chiesa sta qui il punto cruciale. Il Rapporto francese conferma che le responsabilità sono state strutturali e sistemiche, che la coscienza globale della tragedia è mancata, che i crimini sono stati trattati con negligenza, colpevolmente e attivamente nascosti, che sono stati offerti denari alle vittime con la clausola del silenzio, cioè con metodo aberrante. La Chiesa francese ha avuto coraggio. Altre Chiese dovranno farlo allo stesso modo. Lo ha auspicato il gesuita tedesco Hans Zollner, che il Papa ha messo al vertice dell’Istituto di antropologia della Gregoriana che si occupa della cura delle persone vulnerabili. Per ora un Rapporto analogo lo ha pubblicato solo la Chiesa tedesca. Ma Bergoglio ha fatto sapere a molte conferenze episcopali che questa è l’unica strada, perché riabilita le vittime, dopo aver gettato discredito su di esse accusandole perfino in qualche occasione di sfidare la Chiesa. A fine settembre Bergoglio con i vescovi polacchi, spesso resistenti, ha insistito sul fatto che le vittime non devono essere messa da parte a favore di una «sgradita preoccupazione per la reputazione della Chiesa». Francesco lo fa perché sono ancora troppi quelli che considerano la Chiesa incolpevole come istituzione, ritengono gli abusi responsabilità individuali di singoli criminali e la Chiesa stessa una cittadella assediata dai media.

Il rapporto francese e quello tedesco dimostrano esattamente l’opposto. Lo aveva capito molto bene il card. Reinhard Marx che offrì le sue dimissioni al Papa pur non essendo direttamente colpevole, in un gesto di totale e perfetta assunzione di responsabilità. Quanti tra clero, religiosi e laici sono convinti della tragedia sistemica che ha colpito la Chiesa? E quanti preferiscono ancora scacciare con fastidio la «grande mostruosità» degli abusi «più grave di qualsiasi altra cosa», secondo parole di Bergoglio di un anno fa? Non basta sbarrare la strada a vocazioni sbagliate. Bisogna, come ha scritto il teologo Pierangelo Sequeri ieri su Avvenire, «espiare». Già Benedetto XVI aveva cominciato a farlo dicendo per primo «Io mi vergogno». Sperava che tutta la Chiesa lo seguisse. Non è avvenuto. E Francesco adesso lo ripete.

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