Conflitti e piazze spaccano le coalizioni

ITALIA. Di fronte alle difficoltà, incontrate sin dalle prime ore al G7 in Canada, di trovare una posizione univoca sul Medio Oriente, la posizione dell’Italia si è mantenuta al riparo di un prudente equilibrismo, anche se questa volta più sbilanciato a favore dei partner europei.

Tanto è vero che Giorgia Meloni ha fatto sapere di condividere la contrarietà europea a chiedere a Putin, secondo l’estemporanea ipotesi di Trump, di svolgere un ruolo di mediatore tra Gerusalemme e Teheran. Questo equilibrismo è stato subito contraddetto dal vice di Meloni, Matteo Salvini, che ha innescato una polemica durissima con l’opposizione proprio sull’ipotetica mediazione di Putin. Salvini si è detto addirittura entusiasta dell’ipotesi, perché a suo giudizio il capo del Cremlino sarebbe molto più efficace dei «soloni europei» dal leader leghista accusati di essere «guerrafondai».

Le contestazioni a Salvini

A queste parole, palesemente contraddittorie con la cautela della premier in Canada, ha risposto con una verve polemica più aspra del solito Carlo Calenda che ha equiparato Salvini a un ubriaco da bar che dice la prima sciocchezza che gli viene in mente.

Questa è solo una delle tante argomentazioni che contrappongono maggioranza e opposizione sull’infuocato scacchiere internazionale. Come è noto – e lo ha detto Antonio Tajani di fronte alla commissione Esteri di Camera e Senato – l’Italia è d’accordo con Israele sul fatto che l’Iran non può avere a disposizione la bomba atomica perché metterebbe in pericolo non solo Israele ma i Paesi mediorientali ed europei. Quindi Roma giustifica l’attacco preventivo di Netanyahu ma nello stesso tempo condanna l’escalation del conflitto chiedendo un ritorno al dialogo tra le nazioni. Posizione che le opposizioni considerano ipocrita, contraddittoria e cerchiobottista: come si fa, chiedono Conte, Schlein, Fratoianni e Bonelli, a giustificare l’attacco preventivo e nello stesso tempo predicare la de-escalation? E poi dal «campo largo» insistono nell’attaccare Giorgia Meloni considerando del tutto fallita la sua speranza di esercitare un ruolo da protagonista in campo internazionale facendo da mediatrice tra Washington e Bruxelles: la realtà, dicono a sinistra, è che nessuno vuole delegare al governo di destra italiano un compito tanto importante e delicato; «Merz, Macron e Starmer quando vogliono trattare con Trump lo fanno direttamente, non si affidano certo a palazzo Chigi».

Ciò non toglie che, all’indomani del referendum andato male, i partiti della sinistra sono ancora occupati a sanare le ferite e ad affrontare le rese dei conti incrociate. È un problema che sta lacerando il Pd, dove la minoranza riformista è in rivolta contro la linea Schlein considerata eccessivamente appiattita sulla Cgil e sul massimalismo. E dove i rapporti tra la segretaria democratica e il leader dei Cinquestelle Giuseppe Conte sono tornati allo stato consueto di alta tensione.

In piazza per Gaza

La riprova: il prossimo 21 giugno si terrà a Roma una manifestazione su Gaza delle associazioni e dei movimenti (a partire da Cgil, Rifondazione Comunista, centri sociali e associazioni palestinesi in Italia, da quelle moderate fino alle più estremiste). A quella manifestazione, a Porta San Paolo, ci saranno Fratoianni e Bonelli, ovviamente, ma anche Conte. Schlein si terrà lontana, se non altro perché ci si aspetta una piazza duramente anti-israeliana e anti-sionista che la leader democratica non può sposare se non a prezzo di inasprire ancor di più il confronto interno con i riformisti. Ma ciò comporterà che l’unità mostrata a piazza San Giovanni il 7 giugno non si potrà ripetere ed è facile prevedere un ritorno di accuse e sospetti.

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