Cosa serve alla Meloni per essere più credibile

POLITICA. Anniversari e ricorrenze invitano sempre a fare bilanci. Così è stato anche allo scoccare del primo anno di vita del governo Meloni nonché alla conferenza stampa di inizio anno.

Tra le due date corrono solo tre mesi, eppure tanto è bastato per far cambiare, se non di segno, almeno di impostazione i due bilanci. Il compleanno del governo Meloni non è stato guastato dal richiamo insistito sul fatto che FdI vanti la sua appartenenza alla tradizione del nostalgismo neofascista. Né ci si è soffermati in modo insistito nel rinfacciare alla destra la sua professione di populismo, cifra del suo status quando era all’opposizione. È prevalso invece un apprezzamento per l’abbandono del precedente indirizzo politico, riconfermato dalla Meloni nella conferenza stampa di giovedì.

Il cambio di linea non è stato di poco conto. Quand’era all’opposizione, la leader di FdI non ha fatto mistero delle sue simpatie filo-putiniane. Ora s’è fatta alfiere di un sostegno incondizionato all’Ucraina, vittima del dittatore russo. La famiglia politica cui appartiene il suo partito non è stata certo in prima linea nella guerra all’antisemitismo. La Meloni ha espresso invece piena solidarietà ad Israele impegnato nella guerra contro Hamas. FdI aveva combattuto la politica dell’austerità di Bruxelles. All’appuntamento della sua prima legge di bilancio, ha adottato una linea che, se non è ispirata all’austerità, all’austerità assomiglia molto. Sarà incoerenza, ma - è stato il giudizio prevalso - meglio che la Meloni abbia peccato d’incoerenza che non brillato di coerenza, a costo di far sprofondare il Paese nel debito.

Molto più in negativo è stato il bilancio stilato invece a capodanno. Si è fatto leva su alcuni passi falsi del governo e su alcune cadute di stile di suoi dirigenti di partito. Ancor prima e più della sua premiership, è finita sotto schiaffo la classe dirigente. Inadeguatezza e impreparazione gli addebiti.

Passi falsi: almeno due. Primo: la tassazione degli extraprofitti delle banche, che sa di omaggio alla lotta ai «poteri forti» tanto cara al populismo; misura poi rimangiata, con perdita però di credibilità. Secondo: la bocciatura del Mes, vero colpo di coda dell’euroscetticismo del tempo dell’opposizione.

Cadute di stile e gaffe politiche di alcuni dirigenti di partito si possono considerare peccati veniali, ma pur sempre attestanti uno scarso senso istituzionale. Due per tutte. Un ministro che trova normale far fermare un treno in corsa per non arrivare in ritardo ad un appuntamento, seppur legato alla sua funzione. Una parlamentare che propugna l’educazione alla procreazione come primo dovere delle donne. A completare l’opera c’ha pensato il deputato che trova normale far volteggiare la sua pistola ad una festa di capodanno, ferimento compreso di un astante, e poi, invece di assumere le sue responsabilità tenta (inutilmente) di schermarsi dietro i privilegi da parlamentare.

Senza enfatizzare la loro portata, va riconosciuto che questi salti all’indietro politici e queste numerose - continuiamo a chiamarle benevolmente - cadute di stile del gruppo dirigente pongono la Meloni davanti alla sfida che deve superare se vuole guadagnarsi la qualifica di vera leader. Non può mancare al compito - nella conferenza stampa, a dire il vero, ne è sembrata consapevole - di selezionare una vera classe dirigente. Ancor più, deve passare da una politica emergenziale che cerca di riparare le falle del momento per dar corso a una politica (soprattutto industriale) di grande prospettiva.

Una politica che smaltisca le scorie di una cultura di opposizione e fornisca finalmente coerenza al decantato disegno di costruire quel partito conservatore che Fd’I ancora non è. Ci permettiamo una provocazione suggerita dall’attualità. Come pensa la Meloni di conciliare la necessità di liberare un’Italia bloccata da corporazioni e lobby colla riluttanza ad aprire alla concorrenza importanti attività, come sono il commercio ambulante, l’attività dei balneari e pure dei taxisti?

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