Così Giorgia Meloni mira al partito conservatore

Italia. Nell’anno del signore 1994, il Msi, il partito della destra nostalgica, dopo cinquant’anni ininterrotti di duro esilio, poteva finalmente celebrare il suo ingresso nel salotto buono della politica nazionale, grazie all’inaspettato successo elettorale di Silvio Berlusconi.

Al di là di tutto, comunque, sembrava che il destino di An fosse quello di rimanere junior partner del partito dominante del centro-destra, Forza Italia. Di colpo, due mesi fa, FdI ha compiuto il balzo che l’ha resa il primo partito non solo del centro-destra, ma addirittura del parlamento nazionale. Da junior partner, FdI è divenuto major partner del polo creato da Berlusconi. Il padre-padrone di Fi aveva puntato a costruire il primo partito liberale di massa. La Meloni ha ora davanti a sé l’opportunità di costruire il primo partito conservatore. Se l’è intestata uno dei fondatori di FdI, Guido Crosetto. Tutto lascia intendere che persegua lo stesso proposito la premier. Lo testimonia la correzione di linea politica subito da lei impressa dopo essere passata alla guida del governo. Insomma, la Meloni sta liquidando il melonismo. Aveva promesso l’uscita dall’euro e le barricate contro Bruxelles e si è prontamente allineata alle direttive dell’Ue. Si era presentata agli elettori con un programma che minacciava un pesante sforamento dei conti pubblici e ha redatto una legge di bilancio fin troppo severa, tanto che qualcuno parla del suo come di un governo Draghi sotto copertura.

Idee chiare e polso fermo non sembrano mancarle. Sono però molti e pesanti gli ostacoli che le restano da superare. Una classe dirigente da costruire. Un posizionamento chiaro e saldo nella comunità europea. Un sistema di alleanze internazionali che la faccia uscire dall’isolamento costruito con il precedente allineamento con gli Stati sovranisti di Visegrad. Una politica economica che liberi l’Italia da una stagnazione ventennale rendendola capace di reggere la competizione internazionale nell’era della globalizzazione. Si tocca qui con mano l’enormità del compito che la leader di FdI dovrebbe affrontare. Passare dal melonismo a una sorta di draghismo comporta non solo di riscrivere l’agenda politica. Richiede anche di ricostruire la base elettorale di FdI. La Meloni non si può nascondere infatti che il suo successo elettorale è figlio di una battaglia condotta dall’opposizione, con cui ha dato voce a tutte le ragioni della protesta, rendendola non molto dissimile dai precedenti campioni del populismo.

Compiere il salto mortale dal sovranismo e dal populismo per poggiare i piedi sul terreno di una forza di destra responsabile è la vera sfida che la Meloni deve affrontare. Il primo inciampo è il malcontento che non può non suscitare il tradimento di molte premesse. Le critiche che una legge di bilancio avara di aiuti e di bonus ha raccolto sono solo l’annuncio del pericolo che corre: perdere, strada facendo, la messe di voti raccolti il 25 settembre. In una parola, che le tocchi l’infausto destino del M5S e della Lega di Salvini. Sugli altari in campagna elettorale, nella polvere una volta al governo. Su questo passaggio decisivo si giocheranno la leadership della Meloni e la riuscita del progetto di costruire un partito conservatore di massa.

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