DDl Zan affossato
Un finale prevedibile

Si sapeva che sarebbe finita così, e così è andata: duro scontro al Senato nel voto sul disegno di legge Zan, ormai politicamente morto. Palazzo Madama ha infatti deciso di non passare alla votazione degli articoli sui quali era terminata la discussione generale. Si chiama «tagliola» ed è una norma che garantisce all’opposizione un ultimo tentativo per fermare in un colpo solo un testo ad essa sgradito. Certo, tra sei mesi il regolamento permette di porre di nuovo in votazione l’articolato ma questo non accadrà: per quell’epoca i partiti, avviati al termine della legislatura, avranno altro in testa piuttosto che i delitti omofobi.

I sostenitori del provvedimento sono andati alla conta a scrutinio segreto, accettando la sfida di Lega e Fratelli d’Italia, convinti di avere i voti sufficienti per vincere, al punto da rifiutare persino un rinvio di una settimana. Le cose sono andate diversamente: il risultato è che la tagliola è scattata perché al centrosinistra sono mancati 16 voti di altrettanti «franchi tiratori». Furenti il Pd e il M5S, hanno accusato i renziani di aver sabotato il ddl nel segreto dell’urna. Italia Viva respinge le accuse e semmai le ritorce contro i democratici e i grillini tacciandoli di arroganza e prepotenza. Perché? Qui c’è il nocciolo della questione. Perché i renziani hanno sempre proposto di modificare il testo quel tanto da smussare le critiche più dure arrivate al testo del senatore Zan, e arrivare ad una approvazione molto ampia. Ma il compromesso è stato sempre rifiutato: «Andiamo avanti così, il testo non si tocca, i voti li abbiamo» è stata la risposta di Pd e M5S. E invece non li avevano, o comunque li hanno persi per strada. Perché Letta non ha accettato di modificare almeno gli articoli più controversi del disegno di legge (peraltro contestato anche a sinistra, e persino da parti del mondo femminista, perché confuso e contraddittorio in non pochi articoli)? I detrattori del segretario del Pd offrono questa spiegazione: perché facendo l’intransigente Letta avrebbe vinto comunque. Se il testo fosse passato sarebbe stata premiata la sua coerenza favorevole al mondo Lgbt, se invece fosse stato bocciato avrebbe potuto additare al Paese il rischio che un domani prevalgano forze oscurantiste, sessiste, sovraniste, ecc. ecc. come quelle rappresentate da Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Insomma, l’accusa a Letta è di cinismo. Se avessero accettato un compromesso con la Lega, dicono i renziani, per esempio sulla discussa giornata nazionale contro l’omofobia da celebrare obbligatoriamente in tutte le scuole, il ddl Zan sarebbe stato approvato - anche perché per esempio in Forza Italia non erano pochi quelli che lo appoggiavano (ieri l’ex ministro Vito si è dimesso da tutti gli incarichi di partito per protesta). Ma se fosse stato approvato - è ancora la tesi renziana - non si sarebbe potuto evocare il «pericolo della destra».

Seppellito il caso Zen, resta il dato politico. Che è doppio. Da una parte al Senato si è vista una maggioranza diversa da quella di centrosinistra, il che fa dire a La Russa (FdI) che «un’altra maggioranza è possibile». Questo non vale tanto per il governo, quanto per altre occasioni, a cominciare dall’elezione del nuovo Capo dello Stato. E a proposito di questo, ecco il secondo dato: Renzi si è molto speso perché si trovasse un compromesso con il centrodestra. Esattamente ciò che farà allorché si dovrà scegliere il presidente della Repubblica. Insomma, dopo aver portato il Parlamento al governo Draghi, Renzi - ormai maestro nel cabotaggio parlamentare - punta ad essere il king maker del successore di Sergio Mattarella il quale, si noti bene, deve la sua elezione sette anni fa proprio a Matteo Renzi.

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