Democrazie imperfette e in crisi, ma solide

Mondo.«Cedo due Mattarella in cambio di mezzo Putin». «Io sarei più sicuro con uno come lui». «In Russia mi sento a casa mia». Sono solamente alcune delle numerose attestazioni di stima che Matteo Salvini ha rilasciato in questi anni a favore del «Modello Putin», come recita il titolo del libro di Mattia Bagnoli, dedicato appunto al nuovo «zar di tutte le Russie».

Il leader della Lega è stato certo il politico che più si è esposto in apprezzamenti nei suoi confronti. Ma non era affatto il solo. Fino al 24 febbraio di quest’anno spirava un’aria favorevole a tutte le autocrazie e dittature sparse per il globo, mentre cresceva il pessimismo sul futuro delle democrazie. A fronte dei gravi acciacchi di cui mostrava di soffrire l’Occidente liberale, emergeva la vitalità inarrestabile di regimi autoritari.

Sempre più numerosi erano gli studiosi che mettevano in discussione una delle convinzioni più diffuse nel mainstream liberale tradizionale. E cioè che esista un nesso inscindibile tra democrazia, società liberale e progresso. La smentita più clamorosa di tale asserzione veniva dalla Cina: una società irrevocabilmente autoritaria, eppur capace come poche di una strabiliante crescita economica che l’ha portata nel giro di pochi anni a insidiare la posizione di prima economia del mondo detenuta dagli Usa.

Questo, fino al 24 febbraio scorso. Poi l’aria è girata. È cominciata l’aggressione della Russia all’Ucraina e presto, di fronte alla serie di scacchi militari subiti dall’esercito di Putin, ha cominciato a insinuarsi nell’opinione pubblica mondiale il dubbio che il gigante russo avesse i piedi d’argilla, mentre il nano ucraino mostrava di avere un insospettato cuor di leone. S’è avuta allora la riprova della forza nascosta che possiede la democrazia. È maledettamente lenta a prendere coscienza e, ancor più, a guadagnare forza una volta minacciata nella sua esistenza, ma è proprio a partire da quel momento che manifesta un’insospettata forza di resistenza. Lo si era ben visto allo scoppio della Seconda guerra mondiale.

Le democrazie occidentali erano sembrate come narcotizzate dalla droga della libertà. Di fronte all’espansionismo aggressivo della Germania nazista, governi e opinione pubblica dei Paesi democratici fino all’ultimo avevano tenuto chiusi gli occhi. Fraintendevano per pacifismo la loro renitenza a difendere la libertà di cui godevano. Fino all’ultimo, e oltre. Non sono bastate le annessioni di Austria e Sudeti per suscitare una reazione dell’Europa libera. C’è voluta l’intollerabile aggressione alla Polonia.

Non si vuole con ciò pronosticare una sicura vittoria dell’Ucraina sulla Russia. Né si vogliono sottacere le indubbie, gravi defaillance che la democrazia accusa nell’era della globalizzazione. Si può però ritrovare un qualche motivo di ottimismo sul suo futuro alla vista di autocrazie che manifestamente soffrono per la mancanza della libertà. A parte la Russia, che pure sulla carta vanta uno dei più potenti eserciti del mondo, persino la Cina, raggiunto il traguardo di economia più vitale nel globo, mostra che la democrazia non è un optional di cui si può tranquillamente fare a meno, ma che essa sola conferisce una solidità al sistema sociale. La democrazia non è solo, per ripetere un aforisma abusato di Churchill, «la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre». Non è solo imperfetta, ma anche soggetta a periodiche crisi. Anzi, ammoniscono i pensatori liberali, «la democrazia è sempre in crisi». Ha inoltre un grave difetto, è come l’aria: si fa apprezzare quando viene a mancare o diventa tossica.

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