Draghi decisionista
Governo più forte

Alla fine, la riforma della giustizia penale è salva, il governo può andare avanti e il Movimento 5 Stelle non perde né la faccia né le poltrone. Il compromesso raggiunto in Consiglio dei ministri sulla riforma Cartabia già passa come «il miracolo di Santa Marta», dal momento che ieri era l’onomastico della Guardasigilli. In effetti, di miracolo si è trattato, e molto dovuto all’opera dell’ex ministro della Giustizia piddino Andrea Orlando, adesso al Lavoro. È stato lui a individuare i cavilli giusti perché sui processi di mafia non pendesse la tagliola della improcedibilità per prescrizione. Con una normetta ad hoc, provvisoria fino al 2024, per i delitti del 416bis ci sarà una corsia speciale e parallela, con i tempi un po’ allungati che peraltro dovrebbe soddisfare magistrati come Cafiero de Raho (procuratore nazionale antimafia) e Nicola Gratteri (procuratore di Catanzaro) che avevano paventato rischi per la lotta alla criminalità. Non è comunque soddisfatto il pm palermitano Nino Di Matteo che, in linea con gli articoli del «Fatto quotidiano» e di Marco Travaglio, dice che si è tradito Falcone. Né sono soddisfatti al Csm dove si continua a parlare di legge sbagliata e inapplicabile.

In ogni caso, in CdM la riforma è passata all’unanimità. E non è stato certo facile. Sono passate ore di trattativa, con il Consiglio sospeso e i ministri grillini riuniti in conclave negli uffici del loro gruppo parlamentare con Conte al telefono con Draghi, Cartabia e Orlando che parlavano da Palazzo Chigi. Il rischio più grosso era che si seguisse la minaccia della ministra dell’Innovazione Dadone secondo la quale senza modifiche soddisfacenti, i grillini avrebbero valutato l’astensione nel voto di fiducia al governo sulla riforma. Ma se il partito di maggioranza relativa in questo Parlamento – che tale è ancora il M5S sulla base dei voti raccolti nel 2018 – si astiene sulla fiducia, c’è una sola conseguenza possibile: le dimissioni del presidente del Consiglio. E siccome questo è impossibile per mille ragioni, all’accordo bisognava arrivare comunque in modo tale da salvare capra e cavoli. Piuttosto che far saltare il governo, si sa che Mattarella rimanderebbe Draghi di fronte alle Camere pretendendo un voto con cui tutti si prenderebbero le loro responsabilità: affossare il presidente del Consiglio nel culmine della campagna vaccinale e dell’attuazione del Recovery Fund chiamato da noi Pnrr. Un disastro elettorale di cui solo Fratelli d’Italia si avvantaggerebbe.

L’accordo certo è stato trovato, ma ha lasciato ancora qualche scontento: Forza Italia si è vista rifiutare tutti i suoi (pochi) emendamenti, soprattutto sull’abuso di ufficio e sulla responsabilità del pubblico ufficiale. Ufficialmente non si poteva dare la stura a nuove richieste da parte di tutti i partiti; ufficiosamente si sa che a Palazzo Chigi vedevano quegli emendamenti come un aiutino a Berlusconi impegnato nel processo Ruby Ter. Questo però sicuramente non cambierà l’atteggiamento di un partito responsabile ed europeista come Forza Italia.

Conseguenza di questo bailamme sulla riforma della Giustizia: il rinvio a settembre della riforma del Fisco e della legge sulla concorrenza. Draghi ha preferito sminare il terreno dalle contrapposizioni con i grillini (anche perché si trova ancora di fronte ai problemi della Lega sul green pass) prima di affrontare altri temi che richiamano fortemente gli interessi elettorali dei partiti. Il metodo di Super Mario è questo: una cosa per volta senza esagerare e senza prove di forza, dialogo e decisione. Ha funzionato ancora una volta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA