Europa e riforme, governo al bivio

Politica. Esaurite le brevi vacanze natalizie, messa nel cassetto la manovra economica che ha rassicurato i mercati sui conti pubblici italiani, il governo adesso deve decidere da che parte deve andare.

Le questioni aperte sono tante, tutte sul tavolo di Giorgia Meloni, e occorre dar loro un ordine, una scala di priorità, se non altro per una ragione di comunicazione.La prima cosa da fare è il decreto sul Pnrr: ora che abbiamo raggiunto anche tutti gli obiettivi del 2022 e ci siamo meritati la nuova tranche di miliardi messi a da Bruxelles, bisogna davvero che i cantieri vadano avanti: molti sono aperti ma altrettanti aspettano il via libera burocratico dalle mille amministrazioni che hanno voce in capitolo anche per mettere due mattoni uno sull’altro.

A cominciare da Regioni e soprintendenze i cui poteri interdittivi molti sono decisi a ridimensionare. Si dice infatti che sarà questo un passaggio fondamentale del decreto di fine gennaio: la governance del Pnrr, con tanto di modifica della struttura (formalmente inamovibile) decisa dal governo Draghi, gli iter autorizzativi delle opere, troppo lunghi e troppo complicati, e infine le modifiche che il ministro Fitto sta cercando di ottenere dalla Commissione. Fortunatamente l’Italia in questo non è sola: non solo, l’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime rischia di mandare deserte le gare per bandi d’appalto non più appetibili.A proposito di Europa, il governo sembra aver deciso una linea polemica nei confronti della Bce: nonostante arrivino da Francoforte inviti a «non farsi male da soli», i ministri continuano a rilanciare messaggi assai urticanti verso Madame Lagarde, l’aumento dei tassi e il ritiro dell’ombrello che finora ha protetto l’enorme debito pubblico italiano.

Forse anche così si spiega l’insistente voce che darebbe in uscita dal Tesoro il potentissimo direttore generale Alessandro Rivera, uomo in ottimi rapporti con tutte le maggiori autorità europee a cominciare dal commissario Paolo Gentiloni. Del resto Guido Crosetto, che spesso parla per la Meloni, ha da tempo annunciato «l’uso del machete» nei confronti degli alti gradi della burocrazia che non agevolino il nuovo corso politico. Al centro del quale c’è, secondo la presidente del Consiglio, la riforma costituzionale del presidenzialismo, vecchio pallino della destra. A parte cercare le alleanze in Parlamento per un cambio così radicale (il Terzo Polo potrebbe sostenere solo l’elezione diretta del premier, conservando al presidente della Repubblica il suo ruolo di neutralità), il problema sarà anche quello di far marciare insieme il presidenzialismo - cioè l’accentramento a Roma del potere - e l’autonomia regionale della riforma Calderoli: il ministro leghista assicura che i due obiettivi non sono in contraddizione, eppure nella maggioranza si odono parecchie perplessità mentre Pd e Cinque Stelle si preparano ad una lotta di trincea in Parlamento e negli enti locali.

Altra questione spinosissima, la riforma del fisco che ha assoluta priorità ma che si è fermata in commissione causa scioglimento anticipato delle Camere: cosa del lavoro fatto sarà ritenuto accettabile dal governo e dalla sua maggioranza? Le dispute sulla flat tax non inducono a pensare ad una larga collaborazione con l’opposizione. Non si contano infine i dossier che riguardano banche e aziende pubbliche: ci si aspetta che molti manager verranno sostituiti mentre gli occhi degli operatori sono puntati su Palazzo Chigi e via XX Settembre per partite decisive: Tim, Unicredit, Monte dei Paschi, Cassa depositi e prestiti. Quanto a Ita, ormai sembra deciso: l’erede della ex «compagnia di bandiera» sarà tedesca.

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